Riceviamo e pubblichiamo

“Ama la verità; mostrati qual sei, e senza infingimenti e senza riguardi. E se la verità ti costa la persecuzione, e tu accettala; e se il tormento, e tu sopportalo. E se per la verità dovessi sacrificare te stesso e la tua vita, e tu sii forte nel sacrificio.” (S. Giuseppe Moscati)

“Alla luce del momento difficile che stiamo vivendo e proteso al futuro di questa Chiesa, desidero condividere con Voi alcuni pensieri ed alcune decisioni in merito a diversi fatti che hanno visto coinvolti in vario modo dei sacerdoti di questa Diocesi. Le mie parole non scaturiscono in risposta al clamore mediatico che si è generato in queste ultime settimane nei confronti di uno dei fatti su menzionati; sono generate dall’amore per la giustizia e la verità.

È vero: me ne starei volentieri in silenzio, come un padre che sta di fronte ad un figlio che è caduto in qualche genere di disgrazia. E il figlio, in questo caso, ha il volto della nostra Chiesa locale. Come suo membro, non posso negare che queste vicende mi addolorano profondamente proprio per questo: perché tornano a far sanguinare una ferita tuttora aperta.

Sebbene sia qui da poco più di tre anni, posso dire di conoscere quanto accaduto in passato: conosco i fatti che sono documentati e conosco anche tutto il cammino che questa Chiesa ha fatto e continua a compiere nello scegliere la verità e la trasparenza. Vorrei che sia chiaro questo: la Chiesa che mi onoro di servire sa guardarsi dentro e fare i conti con i propri errori; la Chiesa di cui sono padre nella fede e della quale mi sento figlio sceglie di stare senza se e senza ma dalla parte delle vittime (siano esse singole persone o intere comunità ecclesiali) e di trattare secondo giustizia i responsabili.

Questo accade quotidianamente e costantemente, anche per fatti che non sono ancora di dominio pubblico e che non per questo sono meno importanti. In nessuna circostanza ho pensato di esimermi dalla responsabilità legata al mio servizio. Ho piuttosto scelto di farlo con particolare premura e attenzione. E questo ha richiesto il silenzio, almeno in una prima fase, in questa come in altre circostanze. Provo a spiegarvi perché. Ho ritenuto fondamentale tutelare la riservatezza, verificare l’attendibilità, collaborare con la Magistratura nel vagliare le responsabilità personali.

Ho ascoltato il più possibile: i sacerdoti coinvolti in varie forme, i fedeli della Parrocchia presenti in alcuni dei fatti accaduti, altre persone interessate per vari motivi. Non ho potuto confrontarmi solo con chi ha scelto la via mediatica, a scapito della possibilità di dialogo e di collaborazione. Ma, nonostante questo, la mia scelta è stata chiara fin dal principio: ho cercato un costante confronto con la Magistratura. Incredulo e addolorato da quanto stava accadendo, ne ho preso atto.

Seguendo l’esempio di Sua Santità, Papa Francesco, ho agito in comunione con lui. Perciò, ora posso dirlo a chiare lettere: a proposito dei fatti in questione anche se penalmente non ci fosse rilevanza, canonicamente, cioè secondo le regole che come Chiesa ci siamo dati, siamo in dovere di prendere provvedimenti disciplinari, perché non possiamo accettare fraintendimenti. Sappiate, dunque, che sono stati avviati o in procinto di esserlo dei Procedimenti Canonici.

Tuttavia, questo non mi impedisce di guardare con misericordia i sacerdoti coinvolti in queste vicende e i confratelli che hanno attraversato esperienze simili: la nostra fragilità non toglie nulla al Vangelo e alla sua capacità di servire la felicità della persona; la nostra fragilità non impedisce a Dio di operare cambiamenti e conversione anche nel cuore di chi sbaglia. Per questo, innanzitutto desidero chiedere perdono, anche a nome di tutta la Chiesa Diocesana: a chi soffre nel presente e a chi ha un passato di profondo dolore, alle singole persone e alle loro famiglie, alle Comunità parrocchiali coinvolte in vario modo.

Chiedo perdono per le vicende passate e per quelle che hanno ancora forti ripercussioni nel presente. Sono qui per questo. Ma permettetemi di aggiungere ancora un’ultima parola: grazie. Grazie a chi ci aiuta a fare più trasparenza, per amore alla verità e alla giustizia. È mio profondo desiderio veder guarire questa Chiesa dai propri mali, attraverso opere di carità concreta e attraverso percorsi di formazione permanente del clero. Grazie a chi avrà il coraggio, dopo questi eventi, di presentare a me, come Vescovo, situazioni in cui sacerdoti o cristiani hanno tradito, non hanno dato buona testimonianza.

Mi rivolgo a coloro che hanno visto la loro vita segnata per sempre: sappiano di trovare in me e nella Chiesa che mi onoro di servire ascoltatori attenti, disponibili a fare la propria parte fino in fondo e ad indirizzare alla Magistratura, lì dove le competenze del solo Tribunale Ecclesiastico non fossero sufficienti. Questo risulterà fondamentale per restituire a questa Chiesa la credibilità e l’onestà che le derivano dall’operato di tanti uomini e donne di buona volontà. Grazie, infine, per tutto il bene che silenziosamente e umilmente viene compiuto.

Questa è la Chiesa che amo: quella che ha il cuore di tanti presbiteri di questa Diocesi che vivono con autenticità e piena dedizione il proprio ministero sacerdotale; quella che ha il volto di tanti religiosi e di tante religiose che si adoperano instancabilmente; quella che ha le mani operose dei diversi diaconi che si dedicano a qualunque servizio venga loro chiesto; quella che ha i tratti di tutti i gruppi, i movimenti e le associazioni laicali che, seguendo il proprio particolare carisma, rendono questa realtà più bella, oserei dire “profetica”.

Questa Chiesa che amo e di cui non sono degno di essere pastore vorrei che avesse i lineamenti di Maria, Via Lucis, nostra Madre: gli occhi pieni di misericordia, la bocca capace di proclamare – cantando! – le lodi di Dio, le braccia spalancate per costruire quella Chiesa della Misericordia che osa dare la vita per uno solo: Cristo”.

Camillo Cibotti, Vescovo

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