L’amaro e commovente sfogo su Facebook, del figlio di una dipendente Unilever, sta facendo il giro del web.

“Per motivi di lavoro, ho dovuto lasciare la mia terra, la mia amatissima terra. Per molti inesistente, quasi una leggenda. Per tanti, la terra natia. Ma orgoglioso la porto dentro, e quando mi viene chiesto quali sono le mie origini, mi vanto e rispondo col sorriso: sono molisano e il mio piccolo paese è in provincia di Isernia.

Le mie abitudini mi portano a parlare e conoscere tante persone, i miei bimbi sono ragioni di confronti con altri genitori, altre origini, altri lavori. E se mi esprimo con gioia sulle bellezze della Mia terra, così bella e altrettanto dimenticata da una fantomatica e spregevole classe politica, sono ben felice di parlare anche dei miei genitori, dei loro sacrifici, dei loro lavori. Quando parlo di mio padre, chiunque mi riempie di complimenti; la divisa dei pompieri è indiscutibilmente amata e rispettata. E lui l’ha indossata con grande onore. Quando parlo di mia madre, sono fierissimo di dire che lavora in una multinazionale: la Unilever.

Io la ricordo come Sodel, perché quando mia madre, orfana di padre, all’età di 23 anni varcò per la prima volta i cancelli di quella “fabbrica”, le fu dato un camice bianco da operaia, e sul taschino sinistro, sul lato del cuore come si suol dire, c’era scritto Sodel, in blu, su una striscia gialla. Di seguito si leggerà spesso la parola “orgoglio”, perché questo era, ed è il sentimento che sento dentro quando parlo di loro. Ho la fortuna di indossare la stessa divisa che mio padre ha sfoggiato per oltre 40 anni. Ma sono altrettanto felice quando parlo del lavoro di mia madre.

Cara Unilever, mia madre, come tante altre madri e padri di questa piccola regione, fatta di piccoli paesini di montagna e non, hanno creduto nella sua azienda e mi creda, grazie anche a Lei stessa, tanti bimbi sono nati, tante case sono state ristrutturate, e tanti ragazzi hanno potuto avere una dignitosa cultura scolastica ed universitaria. Io e mio fratello, siamo tra questi fortunati. Ho un ricordo che in questi terribili giorni, guardando il tg regionale, mi rimbalza tra i miei pensieri, e se chiudo gli occhi riesco ancora a vedere il candore della neve che cadeva dolcemente sul cortile di casa.

Era una mattina di gennaio, io e mio fratello dormivamo nel letto di mia madre, lo facevamo spesso quando mio padre era di servizio di notte. Saranno state la quattro e mezza di un lunedì, ricordo bene il giorno perché la domenica sera avevamo cenato con i nonni. Mia madre silenziosamente cominciò a prepararsi per andare a lavoro, alle cinque iniziava il suo turno sulla linea del “Coccolino”. Mi svegliai di colpo e tra le fessure delle tapparelle della camera s’intravedeva scendere in maniera soffice, calma e candida, la neve. La piazza, i tetti di fronte casa, gli alberi, erano tutti bianchi. Ero eccitato dall’idea che non saremmo andati a scuola e che avremmo trascorso l’intera giornata con i nostri piccoli amici a giocare nella neve. Tra lo stupore e la felicità, mia madre ci diede un bacio ad entrambi, mise degli stivali e partì per il lavoro.

La stanza magicamente sembrava ancora più silenziosa, il tepore delle coperte riavvolse i nostri sogni, ma il profumo di mia madre svanì nel bagliore dei fari di quella Autobianchi 112. Per tante mattine ho visto mia madre partire per andare a lavoro e con tanti altri, che si sono svegliati nel cuore della notte, hanno costantemente, orgogliosamente e con fiducia, indossato quel camice bianco per creare dal nulla, un flacone di Coccolino. Di Cif, di Vim, di Svelto e Bio Presto.

Cara Unilever, mia madre ha avuto per tantissimi anni le mani rovinate, logorate da quegli ingredienti necessari per il risultato di quel flacone, con quella fragranza e con quel “peluche”, inimitabili. Ma non si è mai tirata indietro, credeva in quell’azienda, credeva in quel lavoro, credeva nella crescita di quella piccola fabbrica. Da sempre si parlava della SODEL come una realtà unica nel Mezzogiorno, del Molise, di quella piccolissima provincia. È stata da sempre un’azienda in cui essere assunti era la massima ambizione è lei era molto, molto appagata di quella continua crescita, di quell’azienda che vantava altre sedi in Italia e all’estero.

E quando a fine lavoro, mia madre ci portava un peluche di Coccolino, nei suoi occhi si notava la massima soddisfazione. Custodisco ancora oggi quei piccoli pupazzi. A volte li trovavo attaccati ai flaconi dei supermercati e ricordo bene anche la “tiratura limitata” del Coccolino col cappello di Natale; e quando mi fece vedere per la prima volta la sigla di Pozzilli vicino al codice a barre, indicandone la provenienza e la linea, io ero orgoglioso di lei. Tutt’ora lo faccio e ancora oggi ho un tuffo al cuore. Quei peluche parlano di mia madre.

Cara Unilever, ricordo bene le cene aziendali natalizie degli anni 90, era una festa in una festa. Non aspettavamo altro che svegliarci al mattino e vedere quanti regali l’azienda aveva devoluto ad ogni suo dipendente per aver reso quell’azienda il fiore all’occhiello del polo industriale di Pozzilli e del centro Sud in generale. Una volta in una cena aziendale di fine anno furono ospiti della serata alcuni personaggi televisivi, e in occasione di una lotteria, mia madre vinse un piccolo televisore con un VHS incorporato. Era spaziale. Noi felicissimi. E poi portò con sé un Coccolino, fu creato un Coccolino in tiratura speciale per una produzione per un paese extra europeo, se non erro, ma poco importa. Ciò che ricordo, era l’eleganza con cui la cara Unilever coccolava a i suoi dipendenti.

Cara Unilever, nel passare degli anni, mia madre ha avuto il coraggio e la fortuna, oltre alla sua umiltà ed intelligenza, di ricoprire un ruolo di grande importanza. Insieme a dei suoi carissimi colleghi, è stata impiegata nell’ufficio planning dell’azienda, e Lei, sa bene la mole del lavoro, la responsabilità e l’impegno richiesto. Beh cara Unilever, se prima mia madre partiva alle quattro e trenta del mattino e rientrava al termine del suo turno, stanca ma comunque felice, in quell’ufficio, lei non ha avuto più orari, ha dato tutta se stessa, e le ha regalato, cara UNILEVER, sorrisi, ansie, lacrime e gli anni della nostra adolescenza.

Cara Unilever, ma lei sa quante volte mia madre, di domenica, quando noi volevamo stare con lei, trascorreva la mattinata in ufficio? E quanti sabati, anziché accompagnarci in piscina o agli allenamenti del calcio, era segregata dietro quella scrivania? Ma lei era lì, perché continuava a crederci e sapeva bene che dal lavoro di quell’ufficio, dipendeva la produzione per il mercato italiano ed estero.

Cara Unilever, ricordo bene e con una forte stretta al cuore, perché quegli anni non torneranno più, soprattutto quelli miei e di mio fratello in cui noi avevamo il diritto di trascorrere delle giornate in spiaggia con mia madre, quando la vedevamo continuamente al telefono, sotto l’ombrellone, isolata da tutti per cercare di aiutare qualche collega a risolvere i problemi o accertarsi che la produzione non avesse ostacoli. Non c’è stato orario, non c’è stato giorno, non c’è stato momento che mia madre si fosse limitata o preservata a non rispondere a quel “91_9XX¬_XX”. Quante volte avrò visto comparire questo numero sul display del telefono mobile!

Chi c’è li ridà quelle giornate? E quelle domeniche? Non sono a conoscenza che la sua azienda ha un fondo speciale per i figli che non hanno potuto godersi pienamente i propri genitori che credevano fortemente nella sua azienda; perché se così fosse, io, mio fratello e tanti altri, ne abbiamo il pieno diritto. Sono basito e demoralizzato di quello che vedo della nostra cara Unilever, quella Unilever che una volta sventolava orgogliosamente sui pennacchi del viale tutte le bandiere del mondo, in occasione degli ospiti internazionali o per una qualche ricorrenza. Sono stato felice nel partecipare all’open-day del 2010, era stata una festa per tutti. Avevamo toccato con mano la “linea”. Dalle essenze al flacone. Dalla provetta al pallet imballato. Dal carrello alla motrice pronta per consegnare quel prodotto, creato e uscito da un azienda molisana. Ritenuta da tanti l’asse trainante dell’iintero polo industriale.

Cara Unilever, cari colletti bianchi con macchine aziendali, cari super-mega direttori, cari responsabili di settore, cari politici, cari fantomatici stagisti, cari direttori del personale, cari ministri, forse non siete ancora a conoscenza di quanta materia organica, detta comunemente m…, state spargendo sulla testa di queste famiglie, la mia compresa. Avrete anche voi dei cari che via aspettano a casa,anche voi vorrete trascorrere delle giornate con loro e la domenica uscire per una passeggiata insieme. Aprite quanto possibile le vostre coscienze. Qui si parla del futuro di ben oltre 450 famiglie, di un indotto non indifferente. Qui state sputando infamia e menefreghismo su coloro che hanno dato tutta la loro vita alla vostra azienda, che hanno creduto nello sviluppo economico di una provincia e di una regione.

Che hanno voluto crescere insieme, superando difficoltà ed ostacoli. E in risposta cosa si sta ottenendo? I segreti di Pulcinella. C’è gente con ben oltre 60 anni che è stanca di essere presa in giro ed è ad un passo della pensione, ma anche giovani ragazzi, che hanno investito su loro stessi, creando una famiglia, accendendo un mutuo, che tutti i giorni prendono un pullman per guadagnarsi il dovuto.

Cara Unilever, Lei non ha il diritto di prenderli in giro perché se la sua azienda è arrivata a certi livelli, è anche grazie a loro. L’eccellenza e la coerenza di un’azienda è la tutela del suo dipendente da quando entra sino a quando esce. Non può decidere le virtù e i destini di tutti solo perché crede che i tagli e i cambiamenti giovano all’azienda; ma provi solo a pensare alla credibilità che Lei avrà d’ora in poi! Potremo mai, noi tutti, credere nelle sue belle parole, scritte su fogli bianchi che si appellano a leggi regionali, nazionali ed economiche?

I suoi dipendenti sono delusi. I suoi dipendenti sono sconcertati dall’atteggiamento snob e menefreghista che il nucleo di Pozzilli ha assunto sin dai primi campanellini di allarme. I suoi dipendenti sono stanchi e incazzati, perché Lei non ha mostrato,in questa occasione così delicata, d’avere i c… e di dire tutta la verità. I suoi dipendenti si sentono presi per il culo, ma una persona, ha una dignità, e Lei, cara Unilever la sta calpestando, è come spegnere un mozzicone di sigaretta sotto la scarpa.

E le faccio un’ultima osservazione. Metta da parte il progetto di cambiare, cerchi di capire che rinnovare, non porta solo benessere, qui Lei, deve scendere in strada e capire perché la gente ha paura, deve ascoltare le angosce e il terrore dei suoi dipendenti, di quei stessi dipendenti che hanno fatto nascere e crescere l’Unilever. Scenda in strada con loro, cerchi di essere coerente, esplicativa, onestà. Non li prenda in giro, non è tra i suoi diritti. Capisca che qui c’è in gioco il futuro di tante famiglie che compongono un piccolo nucleo, di una piccola provincia di una piccolissima regione. Quelle donne e quegli uomini non sono solo dei numeri, non sono un badge, e neanche una matricola.

Quelli sono i suoi dipendenti che hanno reso la sua azienda forte e unica, e che non meritano un calcio nel culo ed essere sbeffeggiati con un sogghigno malizioso. Metta da parte i suoi interessi, cerchi di capire le problematiche che questo grande cambiamento porterebbe ad ogni singola famiglia, trovi dei compromessi, ma garantisca a quelle stesse famiglie di poter vivere degnamente senza elemosinare niente a nessuno. Torni ad essere quell’azienda che ha investito sul territorio avendo riconosciuto ad ogni singolo il diritto al lavoro.

Ma se così non fosse, allora mia cara Unilever, lei ha fallito come immagine, come azienda, come realtà, come credibilità. Parlo di mia madre. Ma questa è la storia di tante famiglie”.

Articolo precedenteFdI: Al via a Roccaraso gli “Stati generali della Montagna”. Chiusura domenica 2 febbraio con l’intervento di Giorgia Meloni
Articolo successivoCarenza medici in Molise, al concorso per 13 posti si presenta solo un candidato