“Sono troppi i voucher venduti in Molise: 581.472 nel solo anno 2016, il doppio rispetto a solo due anni fa, due terzi in provincia di Campobasso. Intendiamoci, non è un problema solo nostro: con un aumento previsionale del 26,3% rispetto al 2015, come UIL stimiamo che l’anno 2016 si sia chiuso con un totale di oltre 145 milioni di voucher venduti in Italia. Tutti sono consapevoli che si deve intervenire per evitare abusi e incongruenze, l’ha detto anche il Presidente del Consiglio e qualcosa certo adesso si farà anche per evitare un referendum che incombe.”

“Ma da noi la situazione è ancora più grave ed allarmante – denuncia Tecla Boccardo, leader della UIL molisana – per due ragioni: anzitutto il fatto che ci sono i voucher e solo quelli (dove sono i nuovi posti di lavoro che vengono annunciati da anni?) e, in secondo luogo, che proprio con questo modo di compensare il lavoro stanno scomparendo posti di lavoro stabili, regolari, contrattualmente tutelati. Secondo le nostre ricerche, oltre la metà dei voucher venduti sono impiegati per compensare prestazioni effettuate in attività a cui la riforma del 2012 ha esteso il campo di applicazione: industria, edilizia, trasporti, anzitutto. Ma questo sistema di pagamento ha preso piede anche nel settore del turismo, del commercio e dei servizi. Sono proprio questi i settori economici dove sono scomparsi negli anni più posti di lavoro. È un po’ come se fossero stati cannibalizzati sempre di più potenziali rapporti di lavoro subordinato attraverso l’utilizzo di questo poco tutelante istituto per il lavoratore che nel tempo produrrà, inevitabilmente, pensioni minime,  instabilità lavorativa, bassa professionalità, e, soprattutto, un “buco fiscale” nelle casse dello Stato con un indebolimento del sistema di sostegno al reddito (i voucher sono esentati dal contributo per indennità disoccupazione e non danno diritto a essa).”

I voucher erano stati pensati per fare emergere e regolarizzare “l’economia dei lavoretti”, cioè quelle attività marginali e occasionali svolte, per lo più, da studenti o pensionati, dalle ripetizioni al giardinaggio. Si voleva dare legittimità a rapporti di lavoro occasionali (ogni tanto) e accessori (non insiti nella ragione sociale dell’impresa) che nella stragrande maggioranza dei casi venivano regolati (si fa per dire) informalmente (nero e dintorni). Ma la legislazione ha ampliato, volta per volta, la disciplina normativa del lavoro accessorio, sotto il profilo del suo campo di applicazione (soggettivo e oggettivo) conferendo a qualunque tipo di committente (sia esso imprenditore che non) enormi possibilità di utilizzo fino a quella di mascherare, dietro a questo istituto, prestazioni di  natura subordinata. Si è provato a porre qualche freno all’abuso e alle frodi: è stata introdotta la tracciabilità dei voucher attraverso l’obbligo, per il committente, di comunicare alla direzione del Lavoro, entro 60 minuti prima dell’inizio della prestazione lavorativa, alcuni dati tra cui la data e l’orario di inizio e fine della prestazione resa attraverso i buoni-lavoro.

Ma si sarebbe dovuto fare di più e con più decisione, intervenendo sulle aree e i settori dove la liberalizzazione dei voucher ha prodotto più danni, escludendo quei comparti economici che già oggi hanno strumenti ultra flessibili in tema di rapporti di lavoro, riducendo il tetto massimo di utilizzo da parte delle imprese, realizzando una tracciabilità ‘vera’ dei buoni lavoro.”  Ed ecco la provocazione finale della Boccardo: “E’ giusto che la politica si ponga subito il problema di come rimediare ai futuri danni socio-occupazionali e di scarsa crescita che produrrà il massiccio ed incontrollato utilizzo del voucher. E sarebbe il caso che, anche da noi, il fenomeno venisse monitorato e indagato, magari da parte di un Assessore al Lavoro, se mai un giorno ricominciassimo ad averlo…”

 

 

 

 

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