“E’ ora di avere il coraggio di dire basta a questa dannosa corsa al petrolio e all’utilizzo dell’airgun per la ricerca di idrocarburi – dichiara Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente – È assurdo quando deciso dal Consiglio di Stato che, nel bocciare i due ricorsi presentati in appello dalla Regione Puglia e dalla Regione Abruzzo, ha sottovalutato gli enormi impatti negativi che l’utilizzo massiccio di questa tecnica di indagine ha nei confronti delle specie marine e sull’intero ecosistema marino.

Per questo al futuro governo e alla maggioranza che lo sosterrà chiediamo di dare attuazione agli impegni presi nella precedente legislatura, in sede di dibattito parlamentare e ai diversi ordini del giorno approvati in materia al Senato e alla Camera negli anni passati – ma a cui fino ad oggi non è stato dato seguito – e di vietare l’utilizzo di questo metodo per la ricerca di idrocarburi in mare che non porta vantaggi in termini economici alla collettività, di conoscenza scientifica e ambientale, ed è a favore esclusivamente delle compagnie che detengono i titoli e le concessioni minerarie”.

“Facciamo appello ai neoletti parlamentari molisani affinchè si facciano promotori di una legge che vieti una volta per tutte la pericolosa tecnica dell’airgun – affermano da Legambiente Molise – La costa molisana non è immune dalla minaccia di nuove trivellazioni. Le concessioni di coltivazione attive in mare sono 6, di cui una proprio tra Vasto e Termoli (Rospo di Mare di Edison), che con le sue 4 piattaforme e 29 pozzi ha estratto nel 2016 oltre 178mila tonnellate di greggio.”

La tecnica dell’airgun – il metodo di ricerca più utilizzato nel settore delle attività estrattive – prevede il rapido rilascio di aria compressa nell’acqua, generando onde a bassa frequenza e rappresenta un’importante fonte di inquinamento acustico dell’ambiente marino. Sono numerosi gli studi internazionali e nazionali che confermano la dannosità dell’utilizzo di questa tecnica che può avere ripercussioni sulla fauna marina anche a diversi chilometri di distanza dal punto di effettiva esplosione.

Legambiente sottolinea inoltre che le due istanze di prospezione, che riguardano circa 30mila chilometri quadrati di mare e che coinvolgono le coste adriatiche dall’Emilia alla Puglia, sono solo la punta dell’iceberg del problema. Sono infatti 6 i pareri VIA positivi rilasciati dal Ministero dell’Ambiente nel settembre 2017, in meno di un mese, per un totale di 3.860 kmq che prevedono l’autorizzazione a effettuare attività di ricerca sempre nelle stesse aree.

“Alla luce di questi dati – conclude Zampetti – riteniamo indispensabile la redazione di un Piano delle Aree che prenda in considerazione le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi, da sottoporre a valutazione ambientale strategica, per avere un quadro degli effetti cumulativi delle attività petrolifere previste in corso”.

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