di Giovanni Minicozzi
Oggi vi racconto una storia davvero particolare e incomprensibile.
Eccola: Agli inizii dell’anno 2019, su disposizione del tavolo tecnico nazionale, la struttura commissariale impose alle strutture private accreditate il taglio del budget disponibile per circa trenta milioni di euro per poter rispettare il limite invalicabile di cento milioni totali deciso a Roma.
L’ex commissario Angelo Giustini e la sub Ida Grossi, difesi dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, si attivarono e proposero ai privati un nuovo contratto, con data retrottiva, rispettando il limite totale deciso dai ministeri.
Ovviamente tutte le strutture convenzionate rifiutarono di firmare e fecero ricorso al Tribunale amministrativo regionale.
Per altro il tavolo tecnico a fine 2020 chiese a Giustini di cancellare gli accreditamenti a coloro che rifiutavano di firmare il contratto decurtato di alcuni milioni di euro.
Naturalmente in piena pandemia la proposta romana appariva illogica e il commissario si rifiutò di agire e minacciò le sue dimissioni.
A distanza di un anno sono arrivate le sentenze del Tar, una decina in tutto, che danno ragione ai privati e condannano i perdenti a pagare le spese pari a circa 2.500 euro per ogni ricorso vinto dalle strutture sanitarie private.
Il paradosso consiste nella circostanza che sono dtati chiamati a pagare non lo Stato o la struttura commissariale ma personalmente Giustini e Grossi con soldi propri.
Il fatto in se sarebbe un precedente interessante se ci fosse pari trattamento con altre vicende giudiziarie che coinvolgono le pubbliche amministrazioni.
Invece esistono evidenti disparità con situazioni similari dove a pagare le spese di giudizio, per esempio di Regione e Asrem, sono i molisani e non Donato Toma o Oreste Florenzano.
Perché due pesi e due misure?
La giustizia non è uguale per tutti?
Peraltro nella vicenda giudiziaria Giustini e Grossi hanno agito per dovere d’ufficio eseguendo gli ordini imposti da Roma e non con decisioni autonome.
Intanto però secondo il Tar Molise i due ex commissari dovranno mettere le mani nel portafoglio e tirare fuori circa trentamila euro.
Qualcuno osserverà che hanno incassato molto di più ma resta il problema irrisolto relativo allainiquità e alla disparità di trattamento con altri soggetti che svolgono un ruolo pubblico e sprecano soldi pubblici per pagare le loro malefatte.