di Christian Ciarlante

Prima di gongolare e cantare vittoria sul dossier Autostrade, andiamoci cauti, siamo solo all’inizio di un braccio di ferro dagli esiti tutti da definire.

A far paura sarà il debito che ‘Atlantia’ trasferirà al nuovo ramo d’azienda e gli impegni finanziari per oltre 14 miliardi. Uscendo dall’azionariato è vero che i Benetton non saranno più padroni di Autostrade, ma non avranno più né debito né obblighi, perché i guai rimarranno tutti in capo allo Stato. Ciò significa che alla fine i Benetton, che per anni hanno incassato lauti dividendi, potrebbero uscire senza pagare il conto. Chiaro dunque perché la Borsa festeggi?” Scrive sulla Verità il direttore Belpietro.

Ora è evidente anche il motivo che ha spinto il socio di maggioranza a rinunciare ai contenziosi. E cosa hanno da festeggiare il premier, il M5S e il PD? L’esasperata politicizzazione, rischia di fare più danni dei Benetton. La politica allungherà i suoi tentacoli in un futuro cda. Il tutto ricorda vagamente Alitalia… e fermiamoci qua! Qui si vendono grandi battaglie in nome del popolo che poi rischia di pagare il popolo stesso.

L’accordo in estrema sintesi:

Sarebbe previsto un tempo che va da sei mesi a un anno per la conclusione del processo, diviso in due fasi: nella prima Cdp entrerebbe con il 51% e ci sarebbe lo scorporo che porterebbe il peso della famiglia Benetton tra il 10 e il 12%, soglia sotto la quale non si entra in Cda; nella seconda ci sarebbe la quotazione che dovrebbe portare a una società con un azionariato diffuso alto, fino al 50%, in cui potrebbero entrare nuovi soci, con un’operazione di mercato, abbassando ulteriormente il peso della famiglia Benetton.

Ma come tutti ben sanno, il diavolo si annida nei dettagli.

Uscendo dai tecnicismi: al momento stiamo ancora discutendo di ipotesi, dato che c’è una trattativa in corso, e di grazia, qualcuno puo’ spiegarci quale sarà il famoso ‘Piano B’? Chi dovrebbe occuparsi della gestione della rete autostradale, l’Anas? La nostra azienda statale è tutt’altro che affidabile. Il ponte crollato lo scorso aprile sul fiume Magra ad Aulla, provincia di Massa Carrara. Quel tratto di strada, infatti, è gestito dall’Ente nazionale per le strade (Anas): la società indicata dai vertici Cinque Stelle come sostituta di Autostrade per l’Italia. Solo per fare un esempio.

Lo Stato spera nell’ingresso di nuovi investitori, anche stranieri, ma siamo sicuri che c’è qualcuno disposto a mettere soldi freschi nel salvadanaio Autostrade, dovendo fare i conti con un governo sull’orlo di una crisi di nervi? Di sicuro per gli investitori si tratta di una prima portata appetibile, sempre che ne valga la pena. “Cdp non dispone di risorse specialistiche sulla gestione del rischio e anzi viene ad avere lo stesso conflitto di interessi tra fare profitti e fare manutenzione che veniva imputato ad Atlantia”. Scrive oggi sull’Huffpost l’ingegner Franco Debenedetti.

Il premier ha dichiarato che le tariffe dei pedaggi autostradali caleranno del 5%, bene, ma c’è da chiedersi: sulla base di quale Piano industriale? Senza un nuovo Piano, stiamo parlando del nulla! E poi, in caso fallisca la trattativa cosa si fa, si mette nuovamente mano alla revoca? E con quali conseguenze? La vicenda, senza troppi giri di parole, è tutt’altro che chiusa. La spregiudicatezza di oggi, condita con un pizzico di ‘chavismo’, potremmo pagarla molto cara domani.

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