di Christian Ciarlante

La morte di Stefano Cucchi è un caso di cronaca nera italiana. Stefano, 31 anni, morì il 22 ottobre 2009 nella sua città natale durante la custodia cautelare. Tale fatto ha dato origine a un celebre caso di cronaca giudiziaria che ha coinvolto alcuni agenti di polizia penitenziaria, alcuni medici del carcere di Regina Coeli, e alcuni carabinieri. C’è chi ha parlato senza mezzi termini di “Morti di Stato”.

Sbalordito rimase il diavolo quando comprese quanto oscene fossero le baggianate scritte, da numerosi principi del foro (si fa per dire), sul caso Cucchi. Sui social si diventa avvocati in un battibaleno, fortunati voi che avete questa facoltà. Vorrei far presente, ai tanti tuttologi della domenica, che non si tratta di un caso di Forum, gli opinionisti, non si posso sbizzarrire in fantasiose ricostruzioni senza logica.

C’è chi condivide i link dei quotidiani accompagnandoli da frasi deliranti senza senso, al solo scopo di ricevere qualche ‘like’ in più. Condividere un articolo di giornale richiede anche una buona argomentazione, se ci si sofferma solo sul titolo, non vale la pena neanche di pubblicarlo.

Comprendo la voglia dei nostri commentatori alla Dipre’, di dare sfoggio della loro sapienza, ma in alcuni casi, tacendo, si fa cosa buona e giusta. Come accade di sovente, in queste circostanze, è partito il linciaggio dei leoni da tastiera contro il carabiniere traditore, contro i due presunti assassini, contro la vittima, e cosa ancor più grave, contro le famiglie dei protagonisti di questa drammatica storia. Una vicenda all’italiana ancora, dopo quasi dieci anni, piena di lati oscuri, in cui la verità stenta a venir fuori, a causa di un vecchio male, che negli anni, ha logorato fino all’osso questa nazione.

Non a caso, siamo il Paese delle mezze verità, degli insabbiamenti, dei depistaggi creati ad arte, e a quanto sembra, continueremo ad esserlo. Su alcune questioni si attendono riposte da quasi mezzo secolo. Arriveranno mai? Non ci scommetterei. Sul caso Cucchi, non ho intenzione di dire nulla, sarebbe ridicolo da parte mia, commentare un processo, che ricordo a tutti, è ancora aperto. Si spera che la giustizia faccia il suo corso punendo i colpevoli quanto prima. Chi commette un crimine deve pagare. In tutto questo marasma, c’è un’unica certezza, un ragazzo è morto a causa dei metodi brutali adoperati da chi il cittadino dovrebbe difenderlo.

Ammetto, senza vergogna, che la sorella del Cucchi non mi sta per nulla simpatica, ma gli va riconosciuto il merito di non aver mollato l’osso per cercare di arrivare alla verità. Si può contestare il suo modo di agire, si possono contestare le sue dichiarazioni, però, vanno comprese le motivazioni che spingono una persona a volere giustizia per un congiunto entrato in carcere da vivo e uscito morto. Se si fosse rassegnata, oggi, tutto sarebbe stato insabbiato e il caso chiuso.

Sono tanti i servitori dello Stato che onorano la divisa e mettono a repentaglio le loro vite per quelle di perfetti sconosciuti, diamo merito anche queste persone. Poi, purtroppo, ci sono i cachi marci, gli esaltati, i rambo, quelli che si credono Alonzo di “Traning Day”… è orrendo dirlo, ma bisogna avere a che fare anche con queste teste di cavolo! In questi casi spetta all’Arma dei Carabinieri e alla Polizia di Stato, mettere un freno alle teste calde e, ove fosse necessario, cacciarle via con ignominia.

Le dichiarazioni del Carabiniere, che accusa i suoi colleghi, aprono un altro capitolo all’interno di un processo che sarà ancora lungo e riserverà altri colpi di scena. Quando ci sarà l’epilogo di questa storia, ognuno sarà libero di vomitare tutta la rabbia che ha dentro di sé, contro i responsabili, per ora, se possibile, evitiamo di dire corbellerie da bar.

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