In Svizzera solo 40 giorni per aprire e tasse al 25%, il comune riceve una domanda a settimana dall’Italia.

Di spazio per costruire nuovi capannoni non ce n’è quasi più; chi vuole aprire un’azienda da queste parti deve contendersi terreni a 450 euro il metro quadro, il triplo rispetto alla media del mercato. E la disoccupazione? Sparita dal vocabolario. Il paese del nuovo boom industriale si trova ad appena 50 chilometri da Milano; solo che giunti al quarantanovesimo chilometro e novecento metri vi si para davanti il confine italo-svizzero. Benvenuti a Stabio, primo comune appena attraversata la frontiera tra Lombardia e Ticino: quattromila sono i residenti, 4 mila e 800 gli addetti delle aziende che arrivano ogni giorno dall’Italia.

Il paesaggio dice già tutto: la strada che porta qui da Varese è affiancata da edifici industriali dismessi e con le scritte «vendesi» e «affittasi» in bella vista; ma appena attraversata la dogana ecco una fila ininterrotta di capannoni nuovi, nuovissimi o in costruzione. Il primo a scoprire questo eldorado fu negli anni 70 il gruppo tessile Zegna; ma la vera esplosione è molto più recente: hanno piantato qui le tende gli americani di VF (sempre settore moda), i tedeschi della Mes (macchine industriali), i lombardi della Cazzani (materie plastiche), i liguri della Iboco (logistica) tutti a colpi di 200-300 posti di lavoro alla volta. E appresso a loro una miriade di piccole aziende meccaniche, tessili, dei servizi che fanno di Stabio un piccolo fenomeno.

Solo chi è qui da tempo può spiegare il boom industriale a 100 metri dall’Italia. Michael Stumm, metà tedesco e metà milanese è amministratore delegato della Montanstahl, azienda di lavorazione dei metalli, una delle prime che si incontra venendo dall’Italia: «Qui è come essere in Italia e in Svizzera allo stesso tempo; ci sono il clima e la qualità della vita del Belpaese e c’è soprattutto la manodopera specializzata proveniente dal Varesotto, dal Comasco. Senza i frontalieri l’economia di questa zona non starebbe in piedi, non solo perché la manodopera italiana costa meno ma anche perché ha capacità che qui non si trovano. Poi ci sono la pace sociale e la stabilità politica della Svizzera: il diritto è una cosa certa, le controversie legali non durano dieci anni, la burocrazia non è nemica. E poi c’è la pressione fiscale».

Già, le tasse. In Ticino gli utili delle aziende sono tassati al 9%, a cui va aggiunta un’imposta comunale che a Stabio è il 65% di quel 9, una delle più basse delle zona e che ha contribuito senza ombra di dubbio a richiamare qui imprese e lavoro. «A conti fatti a Stabio la pressione fiscale non supera il 20- 25% – afferma Claudio Cavadini, sindaco del paese -, e grazie alla presenza delle aziende noi copriamo il 50% del nostro fabbisogno finanziario. Da parte nostra rispondiamo con la qualità dei servizi: massimo 40 giorni e chi vuole aprire un’attività qui si vede rilasciati tutti i permessi».

E poi c’è il treno, che sta invogliando altre industrie ad arrivare a Stabio; da qui passerà la nuova linea da Lugano a Malpensa, e le aziende potranno caricare sui vagoni le loro merci e indirizzarle in tutta Europa. Passando da Chiasso e Lugano, però, perché per l’Italia quella linea può servire solo per il traffico passeggeri. Come dire che ciò che da questa parte della rete di confine è un’opportunità, fatti pochi metri diventa un intralcio.
In questa situazione succede che il municipio sta ricevendo una richiesta alla settimana da imprenditori che chiedono di trasferirsi a Stabio.

Ma la vera febbre da lavoro la si misura negli uffici della Drima, agenzia di lavoro interinale che, fiutando le opportunità, ha aperto qui una sede da un anno: «In una mattina capita di esaminare anche 40 curricula – racconta Monica Giudici, impiegata della sede – e con la crisi che c’è in Italia arriva di tutto. Spesso anche chi non sa fare niente ma ormai vede nel Ticino l’unica speranza di lavoro».

Corrieredellasera.it

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