L’inchiesta del Corriere della Sera sui giovani ventenni italiani e le loro esperienze fuori dall’Italia.
«Il patto era: restiamo un mese. Se non troviamo niente che ci renda felici cambiamo città». Giulia Depentor, 28 anni, e Alessio Madeyski, suo coetaneo e fidanzato, sono partiti da San Donà di Piave (Venezia) a gennaio 2011, con il proposito di cercare lavoro in una città grande e cool come Berlino, senza sapere una sillaba di tedesco e con mille euro in tasca. Sulla carta, un’impresa ardua. «In Italia, forse. Qui, dopo due settimane, già lavoravo – racconta lei (che conosce molto bene inglese e francese) -. Prima in una società di e-commerce e ora in una start-up, 12designer, che mi ha fatto subito un contratto a tempo indeterminato per gestire la comunicazione italiana del portale».
Stessa sorte per Alessio, che a Berlino cercava «un lavoro che mi corrispondesse. Mi sono laureato in Biologia molecolare, ma non faceva per me. Ho una grande passione per Internet e in Italia ho provato a cambiare strada, ma senza successo. Qui invece sono stato subito assunto. Faccio marketing online: ottimizzo il traffico, rendendo più visibile il sito della mia azienda dai motori di ricerca». «Molti ci dicono: avete avuto fortuna», racconta Giulia. «Forse è vero. Ma l’abbiamo pungolata, mandando decine di cv. Non bisogna darsi per vinti, e soprattutto non fossilizzarsi su un solo lavoro, ma provare a buttarsi in molti campi. Fondamentale per chi vuole provarci: partire subito (prima che la città sia piena di italiani) e non cercare lavoro da casa. Qui a Berlino spesso chiedono disponibilità in due o tre giorni, meglio essere pronti».
«Vivo nel mio atelier qui a Ginevra con il mio socio, l’affitto è caro ma si sta bene», racconta Mauro Carraro, 27 anni, in arte Mapo-Mapos, mentre prepara il suo prossimo cortometraggio. «Mi sono iscritto al mio primo corso di animazione durante l’università per sbaglio, dovevo segnarmi per un altro esame»: ora l’animazione è diventata il suo lavoro. In Svizzera, specializzazione 3D. «Per realizzare la mia opera ho raccolto finanziamenti per 110 mila euro. Un corto in 3D costa 210 mila in media. Intanto siamo partiti, ora aspettiamo una conferma da altri due finanziatori». In Svizzera Mauro è arrivato nel settembre 2010, prima aveva studiato animazione ad Arles in Provenza, per tre anni. In Francia era arrivato dopo l’università: design al Politecnico di Milano, specialistica a Torino. Negli anni è rimasto per tutti Mapo-Mapos. «Dal nome di un liquore al mapo, mi chiamava così un amico italiano. L’ho tenuto in Francia, dove suona come ma peau, la mia pelle, per loro più facile da pronunciare di “Mauro”». Se qualcuno gli chiede dove vede il suo futuro, lui risponde: «Per ora rimango qui. Francamente non fa molta differenza lavorare in Italia o all’estero. Una buona ragione per non tornare, per ora, è che qui c’è la mia morosa». Rimane però un sogno: «Tornare in Italia e creare una scuola di animazione. Una struttura che mi permetta di continuare a fare i miei lavori e allo stesso tempo di insegnare a chi è alle prime armi come cavarsela».