di Lucio Di Gaetano*

Quella delle elezioni politiche è stata una lezione durissima. Una lezione spietata. Una lezione, tuttavia, ampiamente meritata.

Una classe politica incapace di rinnovarsi, incapace di selezionare i propri componenti in base ai criteri di merito più banali, restìa ad abbandonare la logica del riciclo di materiale umano scadentissimo è stata umiliata sul proprio stesso terreno da chi della rinuncia alla selezione dei propri candidati fa, addirittura, una bandiera e riesce a contrabbandarla per incontaminazione, purezza, onestà, distacco dalla melassa dei politicanti attaccati alla poltrona.

È questo il messaggio più importante che il popolo italiano ha affidato quasi con sadismo alle urne: l’esperienza, la competenza, la professionalità politica non contano nulla nella scelta dei rappresentanti in Parlamento.

E tuttavia esso va interpretato con cautela, affinché non si cada nel solito cliché anti-M5S fatto di espertoni che si dolgono delle altrui candidature infelici, della altrui scarsa confidenza col congiuntivo e con la geografia. È vero, il M5S trasuda dilettantismo, approssimazione, incredibile imperizia amministrativa, ma non è stato il M5S, per primo, a portare le comparse in Parlamento; non è stato il M5S, per primo, a far eleggere deputati semi-analfabeti purché fedeli; non è stato il M5S, per primo, a proporre ministri privi di laurea alla Giustizia, alla Sanità, alla Pubblica Istruzione.

E a che titolo, dunque, i partiti tradizionali, carichi di candidati incompetenti molti dei quali inciampati in esperienze amministrative devastanti, processi penali e disavventure varie, chiedono proprio al M5S, ancora privo di responsabilità nello sfascio di questo Paese, di essere migliore? E perché dovrebbero pretenderlo gli elettori? E perché quegli elettori dovrebbero preferire i soliti personaggi triti e ritriti, i soliti tromboni, i soliti sgovernanti, a un gruppo di candidati sia pur inesperti, forse altrettanto incapaci, ma per lo meno innocenti?

Quella della superiore competenza dei Renzi, dei Bersani, deiD’Alema, è una battaglia stupida, prima che persa: proprio perché i Renzi, i Bersani e i D’Alema, competenti non sono.

La valanga è dunque inarrestabile?

No. Decisamente no.

Perché laddove i partiti sono riusciti a esprimere personalità autorevoli, amministratori capaci, candidati non impastoiati in vicende poco chiare, il Movimento 5 Stelle ha perso: ha perso in Sicilia, dove il centrodestra ha scelto l’indiscutibile onestà di Nello Musumeci; ha perso in Lombardia, dove il centrodestra si vale dell’eredità dell’ottimo Governo Maroni; ha perso a Milano dove sia il centrosinistra, sia il centrodestra hanno proposto alle scorse amministrative candidati stimati come Sala e Parisi.

Perché il Movimento 5 Stelle non è solo il partito della “protesta”, non è solo il partito dell’“onestà”. Il Movimento 5 Stelle è una forma di reazione allergica, una sorta di enorme starnuto provocato dalle polveri di 30 anni di governi centrali e locali indegni; il Movimento 5 Stelle è un’irritazione della cute elettorale, dovuta al prolungato contatto con la Democrazia Cristiana e i suoi rimasugli marcescenti; il Movimento 5 Stelle è una malattia della politica, la cui cura – o il cui vaccino, se preferite – risiede nella scelta di candidati seri, autorevoli, in una parola, migliori di quelli che Renzi e Berlusconi sono stati in grado di propinarci negli ultimi anni.

Il Molise nel suo piccolo, il 22 aprile, può dimostrare che questa cura è praticabile, è a portata di mano ed è in grado di coagulare dietro a sé tutte le forze sane del territorio che vogliono impedire che la Regione venga smembrata, finendo in mano a qualche ragazzino senza storia, terrorizzato dalle decisioni e asservito allo “Staff” della Casaleggio & Associati.

Questa cura ha un nome ed un cognome noti a tutti: Enzo Di Giacomo.

*Economista e commentatore politico

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