Il lavoro non è riconosciuto nella sua dignità, è vilipeso, mercificato, umiliato, sfruttato e gettato in una logica mercantile che lo considera una variabile indipendente dell’accumulazione capitalistica, del profitto a tutti i costi e dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Lo scontro aperto non si limita all’art. 18 ma alla salvaguardia o meno del MODELLO SOCIALE EUROPEO, e alla partecipazione consapevole dei lavoratori alla crescita economica e alla redistribuzione delle ricchezza di un paese. Per questo è un errore rincorrere le ricette del peggiore liberismo che spostano produzione, lavoro e capitali, in giro per il mondo, incuranti della vita delle persone, dei loro diritti, delle aspirazioni ad una vita migliore dei popoli e dei bisogni essenziali alla cura, allo studio, al pane, alla pensione, all’acqua e alla sicurezza.
C’è un’opposta visione di società che anima i progressisti, i socialisti ed i democratici, ed è per questo che il confronto sull’art. 18 e sulla riforma del mercato del lavoro italiano non può essere imposta con un Decreto Legge su cui porre la fiducia e precludere ogni possibilità emendativa in Parlamento.
Il Governo non sottovaluti lo scontro culturale che si è aperto e ricordi che in quel 23 marzo 2002 si mobilitarono milioni di persone e anche da un territorio freddo come il Molise partirono per ROMA, 50 Pullmann e un treno speciale, frutto di mesi di assemblee aziendali e iniziative locali con un risultato inimmaginabile in una regione che tre mesi prima si era consegnata al PDL di Iorio e Berlusconi con percentuali bulgare.