Ho votato il documento politico conclusivo della Direzione Nazionale di Sinistra Italiana condividendo la necessità di costruire un quarto polo capace di strutturare un’alleanza programmatica incardinata su una proposta politica alternativa al PD oltre che alle destre e al Movimento 5 Stelle.

Ma nel corso del mio intervento ho evidenziato il persistere di una doppia fragilità di ciò che si muove a sinistra del Partito Democratico. Da una parte si cincischia su potenziali alleanze con Renzi che renderebbero del tutto evanescenti, subalterne ed oggettivamente irrilevanti le posizioni di movimenti, formazioni o partiti di sinistra, come confermano le esperienze di SinistraDem, e Area Riformista di Cuperlo e Bersani, o quelle più recenti di Andrea Orlando e di Dario Franceschini.

Dall’altra parte si è scelto di sostenere sul piano dei contenuti l’iniziativa di Tommaso Montanari ed Anna Falcone del 18 giugno al Brancaccio pensando ad una crescita esponenziale dei consensi nel breve lasso temporale che ci separa dalle elezioni politiche nazionali della prossima primavera.

Se permarrà ancora per i prossimi mesi la divaricazione di prospettiva tra Movimento Democratico e Progressista, Giuliano Pisapia, Sinistra Italiana, Possibile e altre forze minori, si arriverà a ridosso delle elezioni politiche nazionali con l’obbligo di dar vita ad un cartello elettorale in cui confluiranno soggetti che perseguono finalità opposte.

In alternativa potrebbero presentarsi due liste separate a sinistra del PD che verrebbero punite entrambe dai cittadini perché non percepite come forze capaci di mutare i processi politici e sociali, ma più come strapuntino di salvataggio dei gruppi dirigenti. La virata a destra del Partito Democratico di Matteo Renzi risale al Jobs act, alla riforma della scuola, alle modifiche costituzionali, all’eliminazione della tassa sulle case dei ricchi ed altri provvedimenti che determinarono già nel 2015 i primi allontanamenti di Stefano Fassina e Alfredo D’Attorre e altri parlamentari.

Già da quei giorni Massimo D’Alema intervenne per spronare la sinistra ad uscire dal PD e dar vita ad un’altra formazione politica che si ponesse in radicale contrapposizione programmatica con le politiche di Silvio Berlusconi replicate magistralmente da Matteo Renzi. Da allora si sono persi due anni con uscite in progress dal PD consumate al centro e in periferia senza un disegno organico, lineare e di prospettiva.

Ancora in queste ore quando è chiaro a tutti che l’unica figura che aveva saputo anticipare i tempi era stato Massimo D’Alema ancora ci si trastulla con ipotesi di subalternità al Partito Democratico che evidenzierebbero l’inutilità politica della scelta di essere usciti da quella formazione per ragioni di merito. Sinistra Italiana fa bene ad incalzare con la propria radicalità le altre forze dell’arcipelago movimentista e progressista, ma non può chiudersi nell’autoreferenzialità.

Al contrario è obbligata a ricercare una saggia convergenza politica e programmatica con MDP per presentarsi ai cittadini con una sola proposta, una sola lista, un solo programma condiviso e possibilmente un solo Partito chiaramente alternativo al PD. Oggi occorre generosità da parte dei gruppi dirigenti e se serve fare un passo indietro, come ho anticipato l’8 luglio in Direzione Nazionale sono il primo a farne due e da subito, pur di far nascere una Federazione Unitaria della Sinistra in Italia e in Molise.

La rottura della generazione nata nel PCI con le scelte di Renzi è una rottura culturale, ma per rilanciare il progetto serve essere chiari, netti, generosi e uniti. Non si perda altro tempo se ne è perso anche troppo.

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