Di seguito pubblichiamo la lettera che il consigliere regionale ha indirizzato a Rosy Bindi (Presidente PD), Elsa Fornero (Ministro del Lavoro), Susanna Camusso (CGIL), Stefano Fassina (Responsabile Economia e lavoro, PD).









Alla vigilia del decimo anniversario della più grande manifestazione italiana di tutti i tempi, indetta dalla CGIL il 23 marzo 2002 in difesa della dignità del lavoro e contro l’idea di una competizione giocata sulla cancellazione dei diritti sociali, il Consiglio dei Ministri, ha voluto compiere un grave strappo politico con la pessima scelta di modificare arbitrariamente l’art.18, non contrastare efficacemente la precarietà e limitare l’accesso ad un sistema universalistico di tutela del reddito in caso di perdita dell’impiego o di passaggio da un’attività all’altra.
Questo testo non risponde alle aspettative di milioni di precari che sollecitano stabilità, persiste nella logica di togliere con immediatezza i diritti ai meno giovani ma rinvia ad una futura ed indefinita fase, i provvedimenti che mirano a coniugare flessibilità e sicurezza, che si attendono vanamente fin dalla Legge Treu del 1997.
La bozza può e deve essere cambiata dal Parlamento per renderla equa, temperarne le asprezze e orientarla verso un modello sociale che non abiuri l’art. 1 della Costituzione Italiana. Si può ipotizzare un superamento della crisi drammatica in cui versa l’Italia non riconoscendo un ruolo dignitoso alle confederazioni sindacali che vengono derubricate ad associazioni da ascoltare e non a soggetti della rappresentanza generale da coinvolgere attivamente per disegnare insieme un percorso virtuoso per il risanamento ed il rilancio della Nazione ?  Spaccare il sindacato ed alimentare contrapposizioni in questa fase è un errore grave perché c’è un clima preoccupante sul territorio che potrebbe incanalarsi verso un diffuso ribellismo protestatario fine a sé stesso, e non sarà la Banca Centrale Europea o altri Organismi Internazionali a gestire un simile disagio. Le confederazioni sindacali sono chiamate ad una prova di straordinaria responsabilità nel governare questa transizione delicatissima ma vanno rispettate nel loro ruolo, riconosciute e messe in condizione di non ritrovarsi prive di strumenti nel confronto quotidiano con milioni di persone.
Sul merito della bozza mi limito ad allegare la mia lettera di licenziamento disciplinare che chiarisce le modalità con cui le imprese attuano le discriminazioni senza chiamarle in questo modo. In un’azienda con poco più di 40 addetti, aderimmo il 30 novembre 1985, per una metà alla CGIL per chiedere il pagamento delle ore effettivamente lavorate, rinunciando anche all’applicazione del Contratto Nazionale. Dopo due giorni vennero licenziate due lavoratrici e al nostro sciopero la Ditta attivò una procedura per licenziamenti collettivi per riduzione del personale con cui il 31 gennaio 1986 licenziò tutti gli iscritti CGIL, e dopo quattro sanzioni disciplinari assolutamente inventate, mi venne recapitata la lettera per licenziamento disciplinare quale delegato sindacale aziendale. Il Tribunale di Campobasso riconobbe le mie ragioni nel 1990 e costrinse la Ditta a versarmi la differenza tra le 159 ore mensili retribuite e le 12 ore al giorno compreso il sabato effettivamente prestate, ma in realtà dopo 7 anni continuativo di lavoro con più imprese, il 6 marzo 1986 mi ero ritrovato disoccupato per aver osato chiedere una cosa ovvia. E lo strumento adottato fu il licenziamento disciplinare.
Per questo bisogna essere cauti nella destrutturazione dell’art. 18, perché per un’impresa che volesse sostituire un dipendente scomodo anziano a tempo indeterminato con un giovane atipico è un gioco semplicissimo pagare da 15 a 27 mensilità di danni. Tali importi saranno recuperati sul minor costo del lavoro del sostituto in breve tempo e l’unico soggetto debole che si ritroverà fuori dal mercato del lavoro senza protezioni sarà il 60enne che finito l’indennizzo dovrà aspettare in condizioni di disagio i 67 anni che occorrono per maturare il diritto a pensione.
Dal giorno del mio licenziamento ho dedicato 20 anni di vita in CGIL a tutela della dignità violata di ogni singola persona che ferisce più in profondità del danno economico perché è come se qualcuno ti strappa la pelle e tu non puoi reagire se vuoi portare i soldi a casa per sostenere la famiglia. Ma la vita degli uomini che lavorano può fondarsi sul ricatto tra diritti e salario ? E in una Repubblica fondata sul lavoro, dov’è scritto che il ruolo del Governo è quello di svalorizzare, svilire, svuotare e rendere sempre più precario il lavoro salariato ? Se non si riparte da un idea di società coesa, solidale, equa e socialmente giusta, usciremo dalla crisi rientrando nel Medio Evo dei rapporti di classe dove il censo farà la differenza tra chi può e chi non può.
Sono grato alla CGIL per il coraggio delle sue posizioni e sono convinto che in Parlamento la riforma del mercato del lavoro sarà emendata, corretta e modificata.

Michele Petraroia
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