di Nino Di Iorio
“Area interna” era definita semplicemente un’area… interna rispetto alla costa, a causa dei percorsi una volta disagevoli, tortuosi e lunghi: questo il suo originario significato. Oggi la locuzione deve essere allargata nel senso che “area interna” deve essere ritenuta non solo quella interna non solo rispetto alla costa, ma anche quella interna rispetto a vie di comunicazioni importanti (autostrade, superstrade, tratte ferroviarie ad alta velocità ecc…). Insomma, un’area è interna soltanto se distante e raggiungibile con difficoltà dalle vie di comunicazione veloci.
Ciò posto, alle aree interne è stato attribuito un significato quasi dispregiativo, determinato dall’esodo continuo della popolazione
L’area interna, nell’originario significato, nasceva tale, nel senso che era la posizione geografica ad individuarla: il linguaggio odierno, invece, diffuso e popolare, trasforma in “interna” una qualsiasi “area” sottosviluppata. Credo che sia un modo sciocco per bollare un’area, senza conoscere le ragioni del disagio oppure senza analizzare le cause.
Un tempo le aree interne erano centri di vita e snodi di (grandi) comunicazioni (è la storia che lo insegna) e ciò è stato fino a quando la popolazione ha resistito, prima che lentamente ma inesorabilmente, sia andata sempre più scivolando a valle, depauperando l’antico territorio e provocando gravi livelli di spopolamento.
Si parla quotidianamente di tutto ciò che manca nelle aree interne, fino alla noia: pochissime volte, invece, si parla di quello che c’è, del territorio che non manca. È vero, mancano le persone, ma perché mancano? Essenzialmente sono due i fattori oggettivamente penalizzanti e noti: il lavoro e i servizi. È solo in questa direzione che occorre intervenire: diversamente… è perdere tempo.
Nel 1969 mio padre era sindaco. Grazie alle sue buone relazioni con l’allora Ministro dell’Agricoltura, on.le Giacomo Sedati, riuscì a portare a Pizzone la Festa Nazionale della Montagna. Evento straordinario! Ricordo il suo discorso sul pianoro Le Forme. “… solo il turismo potrà salvare i nostri meravigliosi paesi dallo spopolamento… solo così i nostri giovani potranno restare ed essere domani testimoni attivi di una ripresa che avrà salvato territorio e popolazione….” . Sono passati più di cinque lustri… ed ancora si parla di spopolamento, turismo, giovani e futuro… Se cinquanta/sessant’anni sono trascorsi inutilmente, anzi hanno prodotto danni, occorre porsi qualche domanda.
Cosa fare? Da dove partire?
Riorganizzare i servizi (che prima c’erano) e creare lavoro. A parole è facile, tradurre le intenzioni in fatti è difficile: questa la vera sfida. È unicamente dal connubio di questi due elementi essenziali che può nascere la speranza.
Gli attori, però, non bisogna cercarli all’esterno, bensì tra coloro che sono la forza locale, cioè tra quelli che conoscono il territorio per esserci nati o vissuti e che vi vivono, è a loro che deve essere affidato il compito di trainare. Essi devono essere, però, i primi a crederci ed a formarsi (viaggiare, conoscere, copiare per… adeguare!).
La politica? Ha l’obbligo di fare la propria parte. Sul territorio non si può prescindere dall’istruzione, dalla salute e dai trasporti: le scuole formano i protagonisti del domani, tutti (e in particolare modo gli anziani che nel territorio abbondano) devono essere sereni, sapendo di essere tutelati quanto all’assistenza sanitaria, i trasporti devono rendere agevoli i collegamenti con le principali arterie e con i principali centri.
Per vincere occorre abbandonare il giogo del campanile, è un guinzaglio che bisogna recidere con decisione, occorre la condivisione con i paesi limitrofi, i Comuni devono associarsi (in tutto) per gestire i servizi (con un notevole taglio delle spese) e restare autonomi quanto alle tradizioni, ai piatti locali, ai costumi, ai racconti… insomma al proprio passato.
La mia utopia è un comprensorio di Comuni, la cui amministrazione dovrebbe essere unificata e affidata a un funzionario centrale completamente autonomo, con responsabilità civile, penale ed amministrativa, svincolato dalla Prefettura, onde evitare eventuali interferenze di “microgeopolitica” e di rapporti interpersonali.
Ma, al di là del sogno, occorre guardare alle “cooperative di comunità”, che altrove già producono frutti a seguito di iniziative che danno (hanno dato )la possibilità di restare, di tornare e di attrarre nuovi residenti.
Iniziative e persone che meritano ammirazione e plauso per aver fatto attivamente qualcosa utile per sé e per la collettività: non si possono elogiare coloro che nulla hanno fatto o fanno per “creare” opportunità e lavoro o coloro che sono restati o restano per grazia ricevuta.
Esempi di energie proprie impegnate e di risultati raggiunti non mancano: basta individuarli, elogiarli e prendere esempio! Altrimenti i nostri splendidi luoghi resteranno solo natura primordiale, cime imponenti, querceti maestosi, faggete fascinose, praterie d’altitudine, acque limpide, aria pulita; borghi disabitati, svuotati perfino della storia… perché né il vento né i versi degli animali né il fruscio delle foglie né la musica dell’acqua di un rio potranno mai giovare.