Il doppio ruolo dell’ex sottosegretario Gabrielli che impose il segreto di Stato con l’avallo di Draghi. E intanto l’unica indagata è la docente che riprese l’incontro con lo 007 Mancini

 

«Le minacce a Marco Mancini secondo me venivano dall’interno dei servizi segreti». Prima di morire il prefetto Paolo Scarpis, già direttore dell’Aise, mise a verbale la sua verità su uno dei passaggi cruciali del giallo che anima ormai da giorni il mondo della politica e dell’intelligence, quello scaturito dall’incontro a un autogrill tra lo stesso Mancini, allora direttore generale dei servizi, e l’ex premier Matteo Renzi. Un giallo la cui ultima puntata è l’incriminazione da parte della Procura di Roma della docente che (per caso, a suo dire) ritrasse l’incontro in un filmato approdato poi alla redazione di Report.

Cosa c’entrano le minacce a Mancini con il video? C’entrano. Perché pochi giorni dopo il sottosegretario ai servizi segreti del governo Draghi, Franco Gabrielli, revoca la scorta che da anni proteggeva Mancini in seguito ai messaggi di morte ricevuti: quelli, secondo Scarpis, provenienti dall’interno della nostra intelligence. Perchè Gabrielli ritenga di togliere la protezione a Mancini proprio nel momento in cui il suo volto diventa pubblico è un altro mistero. Non è il solo intervento diretto di Gabrielli nella vicenda. É Gabrielli a decidere due settimane dopo la rimozione di Mancini. Ed è sempre Gabrielli a indicare a Elisabetta Belloni, capo del Dis (l’organismo di coordinamento dei servizi segreti) di avvalersi del segreto di Stato nei due interrogatori cui viene sottoposta dalla difesa di Mancini, nell’ambito dell’inchiesta aperta a Ravenna a carico dell’autore del servizio di Report, Giorgio Mottola, e del direttore Sigfrido Ranucci.

A quell’interrogatorio Elisabetta Belloni aveva cercato ripetutamente di sottrarsi, non rispondendo alle convocazioni notificate dai legali di Mancini, Luigi Panella e Paolo De Miranda. A quel punto gli avvocati dell’ex 007 hanno chiesto al capo della Procura di Ravenna, Daniele Barberini, di convocare la Belloni, che a quel punto non poteva più rifiutarsi. Salvo trincerarsi, davanti ad alcune domande dei legali, dietro il segreto di Stato. A ordinare o consentire alla capa del Dis di avvalersi del segreto non poteva – come spiegato ieri al Giornale dal nuovo ministro della Difesa, Guido Crosetto – essere stato altri che il governo. Cioè Gabrielli medesimo. Subito dopo la conclusione degli interrogatori, Barberini risulta che abbia chiesto alla presidenza del Consiglio di confermare o meno la sussistenza del segreto. Mario Draghi confermò.

Anticipato di quattro ore da Report, il nuovo sottosegretario ai servizi Alfredo Mantovano qualche giorno fa ha fatto sapere che le domande cui la Belloni ha opposto il segreto non riguardavano l’incontro all’autogrill ma l’organizzazione interna della nostra intelligence. Quali fossero le domande non è dato sapere, perchè la procura di Ravenna ha secretato l’intero verbale. Un dato è però certo: il procuratore capo Barberini in base al codice non poteva limitarsi ad assistere all’interrogatorio difensivo ma era obbligato a vagliare domanda per domanda la rilevanza ai fini dell’inchiesta. Difficile immaginare che domande sull’organizzazione interna dei servizi segreti potessero venire considerate da Barberini rilevanti per capire la genesi del filmato all’autogrill e il suo approdo alla redazione di Report. A meno, per esempio, che le domande riguardassero gli eventuali rapporti tra la docente che effettua il filmato e i nostri apparati di sicurezza. O, altra ipotesi, l’identità dell’ex agente segreto del Sismi (ma che in realtà pare abbia lavorato anche per l’Aise) cui Report si rivolge a colpo sicuro per identificare in Marco Mancini l’uomo che incontra Renzi all’autogrill.

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