di Angela Mazzaroni

Nelle prime settimane di agosto sulle strade della Puglia, mentre facevano ritorno da una faticosa giornata di lavoro sui campi, hanno perso la vita sedici lavoratori agricoli. Gli incidenti stradali, accaduti a distanza di pochi giorni, hanno riaperto il dibattito sul tema del caporalato e su forme di sfruttamento del lavoro al limite dello schiavismo.

Il caporalato è una forma illegale di organizzazione e reclutamento di lavoratori. I caporali fungono da intermediari con i datori di lavoro, reclutano mano d’opera trattenendo per sé una parte del compenso corrispostogli sia dal datore di lavoro che dal lavoratore. La stragrande manodopera in agricoltura è costituita dai migranti e di conseguenza anche i caporali, per lo più, sono etnici e negli ultimi tempi hanno acquisito una caratteristica particolare. Oltre a controllare l’intermediazione di manodopera gestiscono anche la tratta degli esseri umani e la fase degli ingressi.

Per ogni ingresso i migranti pagano tangenti tra 7.000 e i 10.000 euro. Con la speranza di un lavoro vengono fatti arrivare nella campagne italiane, privati dei propri documenti e sottoposti a lunghi e faticosi turni di lavoro in condizioni lavorative abominevoli. Imbrigliandoli nella loro rete, i caporali offrono anche un trasporto alternativo per raggiungere il posto di lavoro. Un servizio che si rivela deleterio, come dimostrato dagli episodi in Puglia, poiché i lavoratori vengono stipati a borgo di piccoli furgoncini come animali in gabbia.

Quindi, fermare questa tratta di manodopera illegale significa smettere di alimentare il redditizio circolo di affari della criminalità organizzata. Proprio per combattere episodi di questo genere che è stata pensata la legge 199 del 2016 che estende responsabilità e sanzioni sia per i caporali sia per gli imprenditori che ricorrono alla loro intermediazione. In seguito alla morte, tre anni fa, di una donna di 49 anni, Paola Clemente, sentitasi male mentre lavorava nei campi che è stata approvata la legge Martina. La morte di Paola ha destato molto scalpore perché nascondeva una storia di schiavitù. La donna si alzava alle tre del mattino per arrivare alle 5.30 nei campi di Andria e non tornava a casa prima delle 18.00.

Guadagnava appena 27 euro al giorno, soldi fondamentali per la sua famiglia. Approvata in via definitiva alla Camera il 18 ottobre 2016 la legge è suddivisa in dodici articoli e due sezioni: una repressiva e una preventiva. Quella repressiva prevede la pena della reclusione da 1 a 6 anni fino ad arrivare a 8 anni se è riscontrata violenza e minaccia e una multa da 500 fino a 2.000 euro per ciascun lavoratore nei confronti di chi recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento e utilizza, assume o impiega manodopera, mediante l’attività di intermediazione approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori e sottoponendoli a condizioni igieniche e di sicurezza non adeguate.

La nuova disciplina sul reato di caporalato ha introdotto anche nuovi strumenti penali quali la confisca dei beni e l’arresto in flagranza. La sezione preventiva mira, invece, a valorizzare le imprese in regola con l’ iscrizione in una Rete del Lavoro agricolo di qualità che vuole promuovere la legalità e il rispetto dei diritti dei lavoratori prevedendo soluzioni diverse per il trasporto e l’intermediazione lavorativa. Ma a distanza di tre anni la legge Martina non ha ottenuto i risultati sperati e il fenomeno del caporalato ha avuto modo di espandersi e di agire in gran parte del nostro territorio.

Quindi, accanto ad una mirata azione di controllo e monitoraggio delle maggiori aree di sfruttamento, di vigilanza del rispetto delle norme basi in materia di lavoro e di ispezione affinché venga mantenuto un alto standard di sicurezza lavorativa, occorre istituire un luogo pubblico controllato dove si incontrino domanda e offerta di lavoro, in modo da poter creare dei metodi leciti di assunzione.

Diventa necessario adottare anche un approccio culturale del problema. Promuovendo, ad esempio, un marchio etico per aziende virtuose, in cui si attesti che la merce è stata prodotta rispettando le normative sul lavoro. Bisogna sensibilizzare l’opinione pubblica affinché si possa contribuire a debellare il fenomeno del caporalato anche facendo una spesa consapevole.

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