Quando un soggetto fa una falsa affermazione per trarre altri in errore, di solito a proprio vantaggio, questo comportamento nella lingua italiana viene definito con la parola bugìa.

Ed è proprio l’atteggiamento avuto questa mattina in Consiglio regionale da parte del presidente della Regione Donato Toma.

Ad apertura dei lavori dell’assise di martedì 18 maggio 2021, il capogruppo dei 5stelle Andrea Greco si alza in piedi e chiede l’iscrizione e l’immediata discussione della interrogazione appena presentata relativa alla storiaccia della rissa, avvenuta in pieno centro e in pieno giorno, che ha visto coinvolto Maurizio Tiberio e due ragazzi ventenni.

“Annuncio che abbandonerò l’aula al momento del voto – dichiara alle 11 di mattina il governatore del Molise che spiega – non voglio interferire sulle indagini”. E su chi affermava che la questione andava affrontata in aula dal punto di vista politico, Toma replicava: “di politico non c’è nulla. Io le dichiarazioni le faccio solo alla polizia giudiziaria”. Passano le ore, il Consiglio prosegue, si discutono le altre mozioni. Senza pausa pranzo, si arriva al primo pomeriggio e i consiglieri regionali sono chiamati a pronunciarsi sulla volontà di iscrivere e discutere l’interrogazione. Micaela Fanelli, che pure aveva solidarizzato con le prime vittime dell’accaduto (governatore e suo braccio destro Tiberio)  per poi sentire la versione dei ragazzi in base alla quale “è Tiberio che ci ha rincorso e voleva picchiarci. Si è fatto male da solo”, la Fanelli dice la sua: “non si deve mai perdere il profilo istituzionale e più è alto il ruolo che si ricopre più il livello, anche dei collaboratori, deve essere congruo”. Toma non ci sta, si rivolge alla Fanelli fuori microfono. Pare le dica che deve tacere. Fatto sta che la Fanelli, durante l’intervento, si rivolge a Toma con tono severo: Lei a me non dice basta – “non ho detto basta” si sente urlare fuori microfono ancora Donato Toma – Lei a me non dice nulla – continua la Fanelli con fare severo, pacato e rigido – Lei con me, con i ragazzi per strada, con chi scrive su face book deve portare rispetto”. Fa eco Andrea Greco: “Lei chiede di abbassare i toni – dice rivolgendosi a Toma – ma è lei che li inasprisce” e avverte tutti: “quanto sta venendo fuori dalla stampa rischia di gettare discredito sulla Regione per il coinvolgimento del suo collaboratore”. Toma replica: “chiedo la registrazione della seduta”. Il presidente, che è soprattutto consigliere, non sa forse che per avere la registrazione basta inviare una richiesta alla società che si occupa del servizio. Dopo la replica ci si aspetta che il governatore dia seguito al suo intervento, registrato e agli atti, in cui dice che non parteciperà alla votazione e uscirà dall’aula. Invece quello che si dice la mattina non vale dopo qualche ora dopo.

Toma resta in aula e vota contro l’iscrizione dell’interrogazione. Oltretutto nel più totale imbarazzo di un Consiglio regionale che non ha espresso alcuna solidarietà, come maggioranza. Salvo qualche post di presidente e vice presidente del Consiglio (Micone e Cefaratti) dai cui post sui social sembrano avere chiare le idee. Esprimono solidarietà non a Toma, non a Tiberio, ma alle vittime della violenza. E a chi, come Nunzia Lattanzio già inquilina di Palazzo D’Aimmo, gli fa notare la “meraviglia – chiedendogli – Non crederai mica nella santità istituzionale?” il vice presidente del Consiglio, da buon democristiano, aggira l’ostacolo e ammette: “Se leggi meglio, e non interpreti, cancellerai il tuo commento”. Insomma, Toma è rimasto solo con la sua Giunta composta da Pallante, Mena Calenda,  Vincenzo Niro e Vincenzo Cotugno. Cinque al comando che, vista la rivolta sociale, a breve saranno spazzati via dalla rivoluzione elettorale.

 

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