di Massimiliano Scarabeo

Ormai manca poco alla conclusione dei lavori del ponte che collegherà Ragusa al resto della Croazia, baipassando quei 20 Km di costa di Bosnia-Erzegovina che si affacciano sull’Adriatico. Sta di fatto che questo ponte, concepito ignobilmente dalla Croazia per evitare i valichi di frontiera posti nella regione bosniaca di Neum, che dividono la continuità del territorio croato per raggiungere Ragusa, diventa una ferita “all’ipocrisia europea che vorrebbe ponti per unire, non per dividere le nazioni”, mettendo senza tanti complimenti, la Bosnia-Erzegovina fuori dai confini dell’UE.

Tutto ciò avviene, nonostante la contrarietà delle autorità bosniache  alle prevaricazioni croate, appoggiate da Bruxelles, che  ha finanziato l’opera croata con 357 milioni di € su un costo totale di 420. Ma al di la del punto contingente, se al posto della Croazia, fosse  un altro Paese europeo ad escludere un’altra Nazione dai rapporti sociali, politici e commerciali, con la costruzione di un ponte, che conseguenze avrebbe avuto?

Oltretutto, l’Italia è completamente mancante dallo scenario Adriatico, nonostante la sua Storia e la  sua costa di ben 1470 Km, come se non esistesse, tant’è che non ha mai preso posizione in questa disputa tra Croazia e Bosnia-Erzegovina; pur potendo dire la sua, visto che il ponte per l’85% è finanziato con fondi dati anche dall’Italia.

Tra l’altro, il tutto sa anche di beffa, poiché le autorità croate  appaltarono i lavori ad una ditta cinese – la China Road and Bridge C. – sul ponte lavorano 200 operai cinesi e 50 croati su turni di 36 mesi, ed esclusero i Paesi europei nonostante il supporto finanziario  elargito.
Insomma, quando il mare Adriatico chiama, l’Italia è sempre assente.

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