di Christian Ciarlante

A riportare la luce sul buio che avvolge i precari, è stata la storia della molisana Francesca Colavita, precaria 31enne ricercatrice allo Spallanzani che ha contribuito ad isolare il ‘coronavirus’. Allo Spallanzani ha un contratto a tempo determinato in scadenza a novembre 2021, con un compenso che non arriva ai 20mila euro l’anno.

Il suo essere precaria, ha destato scalpore e riportato al centro dell’attenzione l’annoso problema del precariato che interessa un’intera generazione di giovani entrati nel mondo del lavoro. Sembra che adesso, grazie al suo eccellente lavoro e, dopo ben 6 anni di contratti a tempo determinato, potrebbe essere finalmente stabilizzata.

Le stime attuali parlano di oltre 3 milioni di precari. Un dato allarmante e in costante crescita, soprattutto, a causa di politiche del lavoro passate attraverso il Jobs act e il Decreto dignità, entrambe misure presentate come panacea contro il precariato, ma nei fatti, hanno provocato l’esatto contrario.

Il Jobs act di Renzi si è rivelato fallimentare. Il provvedimento, che ha introdotto contratti a tutele crescenti è stato accompagnato da ingenti sgravi contributivi a favore delle imprese per la ‘stabilizzazione’ dei contratti di lavoro. Purtroppo, il contratto a tutele crescenti, non ha stabilizzato il rapporto di lavoro, ma ha reso più complicato e costoso il licenziamento al crescere dell’anzianità di servizio.

Il Decreto dignità, voluto dall’ex capo politico dei 5 Stelle Di Maio, avrebbe dovuto rappresentare, a suo dire, “la Waterloo del precariato”. Peccato che i dati sull’occupazione ne abbiano decretato il fallimento. L’intenzione dei ‘pentastellati’ era quella di favorire l’occupazione stabile e ridurre la disoccupazione, ma il tentativo di abolire il precariato non è andato a buon fine.

Oggi tanti giovani italiani sono alle prese con lavori che non danno nessuna certezza, non permettono di crearsi un futuro, una famiglia e, nonostante il passare degli anni, l’assunzione a tempo indeterminato rimane un miraggio.

Nell’articolo 4 della Costituzione Italiana è scritto:

“La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.

Che valore hanno oggi queste parole? Molti italiani direbbero che è solo una presa in giro. Difficile dargli torto. Alla lunga essere pecari stanca e chi puo’ decide di andare via, portando le sue competenze in altri Paesi dove la parola lavoro ha ancora un significato. I giovani non accettano più di essere trattati come pedine su una scacchiera da usare a fini elettorali, a cui vengono solo offerte false e pretestuose promesse senza sostanza.

Che futuro puo’ avere una Nazione che non scommette sulle nuove generazioni e permette a tanti di andare via per arricchire altri Paesi? Nessuno! Senza politiche del lavoro efficaci e valide il sistema è destinato a collassare. E’ il lavoro che fa aumentare la ricchezza e permette al Pil di crescere, ma occorrono investimenti e politiche lungimiranti per far ripartire un motore che al momento non da segni di vita.

Il problema della precarietà non è nell’agenda del governo e, di una politica, che oggi ha scoperto che questo virus è ben lungi dall’essere debellato.

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