Italia sempre più fragile e insicura, incurante dell’eccessivo consumo di suolo e del problema del dissesto idrogeologico mentre i cambiamenti climatici amplificano gli effetti di frane e alluvioni.

A parlare chiaro sono i dati di Ecosistema Rischio 2017, l’indagine di Legambiente sulle attività nelle amministrazioni comunali per la riduzione del rischio idrogeologico, realizzata sulla base delle risposte fornite da 1.462 amministrazioni al questionario inviato ai 7.145 comuni classificati ad elevata pericolosità idrogeologica (oltre l’88% del totale) secondo i dati dell’Ispra.

Solo 14 Comuni molisani hanno risposto in modo esautivo al questionario di Ecosistema rischio 2017 (il 10% dei Comuni a rischio della regione). Sono Acquaviva d’Isernia, Capracotta, Castelverrino, Civitanova Del Sannio, Isernia, Macchia Valfortore, Molise, Montelongo, Pesche Pescopennataro, Pietracatella, Sepino, Tavenna e Termoli. Essendo solo 14 i Comuni che hanno risposto al questionario e si tratta pertanto di un riscontro parziale per cui la situazione potrebbe essere ben peggiore. Il dato più preoccupante è quello che riguarda la presenza di abitazioni in aree a rischio pari al 78%.

Nel 70% dei comuni italiani intervistati si trovano abitazioni in aree a rischio. Nel 27% sono presenti interi quartieri, mentre nel 50% dei comuni sorgono impianti industriali. Scuole o ospedali si trovano in aree a rischio nel 15% dei casi, mentre nel 20% dei comuni si trovano strutture ricettive o commerciali in aree a rischio. La costruzione scellerata non è un fenomeno solo del passato: nell’ultimo decennio il 9% dei comuni (136) ha edificato in aree a rischio e di questi 110 hanno costruito case, quartieri o strutture sensibili e industriali in aree vincolate, nonostante il recepimento del PAI (Piani di assetto idrogeologico) nella pianificazione urbanistica.

Preoccupanti anche i dati sulla cementificazione dei letti dei fiumi: anche se il 70% dei comuni intervistati (1.025 amministrazioni), svolge regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica; il 9% delle amministrazioni ha dichiarato di aver “tombato” tratti di corsi d’acqua sul proprio territorio, con una conseguente urbanizzazione delle aree sovrastanti, mentre solo il 4% ha eseguito la delocalizzazione di abitazioni costruite in aree a rischio e il 2% la delocalizzazione di fabbricati industriali.

A pagare lo scotto di questa Italia insicura sono gli oltre 7,5 milioni di cittadini esposti quotidianamente al pericolo che vivono o lavorano in aree potenzialmente pericolose e la cui incolumità deve essere la priorità del Paese.

scarica il dossier Ecositema Rischio 2017

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