di Michele Pellizzari e Jacopo Orsini
L’attenzione di solito è rivolta a cosa non va nel funzionamento degli albi. Si denunciano – e giustamente – la scarsa trasparenza dei metodi di accesso e gli scandali che periodicamente colpiscono l’organizzazione degli esami di Stato. Si contestano la gestione degli organismi di vertice degli ordini e i privilegi della casta degli iscritti, oltre alla forza delle lobby degli avvocati-onorevoli e degli altri professionisti che in Parlamento bloccano ogni tentativo di riforma. Sono mancati invece finora studi che permettessero di valutare, a livello empirico, l’effetto delle restrizioni e delle barriere all’ingresso in rapporto alla qualità dei servizi offerti dai professionisti.
Dalle analisi che abbiamo condotto sugli elenchi nominativi degli iscritti a undici ordini è emerso che in otto professioni su undici il grado di familismo è più alto di quello registrato fra i lavoratori autonomi generici. Per medici, avvocati, farmacisti e giornalisti questo indicatore è quattro volte superiore, anche se sempre meno della metà di quello che si registra per i docenti universitari. Abbiamo poi costruito indicatori della qualità delle prestazioni offerte in sei professioni e mostrato come i legami familiari siano più deboli in mercati dove è più forte la richiesta dei servizi dei professionisti. Per due occupazioni osservate, commercialisti e consulenti del lavoro, abbiamo inoltre trovato prove chiare e statisticamente significative di peggiori risultati sociali dove il familismo è maggiore. Nelle zone dove le connessioni familiari – calcolate in base al nostro indice di informazione dei cognomi – sono più forti, l’evasione fiscale è più alta e c’è una litigiosità maggiore fra lavoratori e aziende. Per altre tre occupazioni – geologi, medici e ostetriche – abbiamo scoperto invece l’opposto: laddove i legami familiari sono più alti, si riscontra una migliore qualità sociale dei servizi. Per gli avvocati non siamo riusciti invece a trovare una risposta univoca.
Se la relazione fra le connessioni familiari e un accesso facilitato alla professione riflettesse solo una formazione di conoscenza specifica all’interno della famiglia, non ci sarebbe nulla di male. Un avvocato capace insegna il mestiere al figlio, che diventa a sua volta bravo in quell’occupazione e avrà più probabilità di riuscire a iscriversi all’albo rispetto a chi non ha parenti già attivi nella professione. Il problema vero è che spesso l’incidenza del cognome – come abbiamo visto – è sintomo di pratiche nepotiste e corporative che riducono la qualità dei servizi. E quando la forza delle connessioni familiari consente a individui con scarse capacità di diventare commercialista, avvocato o medico più facilmente rispetto agli altri aspiranti, è evidente che la regolamentazione non funziona o non funziona per lo scopo per cui è stata disegnata. […]
La rivolta in Parlamento degli avvocati-onorevoli dell’estate 2011, pronti a far cadere il governo se avesse osato liberalizzare le professioni, e l’attivismo della lobby degli ordini contro tutti i tentativi di riforma, provano che le resistenze da vincere sono fortissime. D’altronde, in Italia, è utile ricordarlo, gli occupati nelle ventotto professioni regolamentate sono circa 1,3 milioni (ma alcune stime di parte parlano di oltre 2 milioni): in termini di consenso elettorale, considerando anche i familiari, si tratta di una massa notevole di persone, in grado di scoraggiare qualsiasi politico dall’idea di inimicarsi i professionisti con provvedimenti sgraditi. «Sulle liberalizzazioni le resistenze sono pazzesche», ammette il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera.
[…] Due sono in particolare le misure che si potrebbero suggerire e che potrebbero essere prontamente attuate a costo zero: eliminare i conflitti d’interesse e puntare su giovani e consumatori. La ragione è semplice: gli operatori già presenti sul mercato hanno un chiaro interesse a selezionare nuovi professionisti che, una volta entrati, non siano dei temibili concorrenti. Va quindi limitato il più possibile, o eliminato del tutto, qualsiasi conflitto di interesse negli esami di accesso. Le prove non dovrebbero essere organizzate o valutate dalle stesse persone che diventeranno diretti concorrenti dei nuovi entranti; quando possibile, i test dovrebbero essere preparati e corretti da esperti che non siano già dentro la professione, come i giudici per gli avvocati o i professori universitari per le altre occupazioni.