Dall’ex insegnante venafrana Rosaria Alterio, educatrice di numerose generazioni, apprezzata da docente ed analogamente adesso che è un’attiva e dinamica pensionata, riceviamo l’interessante contributo titolato “Diamo voce a noi stessi”. Trattasi di una ovvia condivisione della donna di tutto quanto ci serviamo e deriva attualmente dalla tecnologia in tema di comunicazione e rapporti interpersonali, ma anche una convinta “freccia” scagliata a favore del ritorno ai rapporti de visu, alla comunicazione a voce, all’incontro fisico con gli altri per scambiare, dire, confrontarsi e finalmente definire idee e comportamenti per una vita in linea con l’essenza naturale di ciascuno. Spazio quindi a “Diamo voce a noi stessi” di Rosaria Alterio, che invita ad uscire di casa ed incontrare gli altri (così come a ragione, lei giovinetta, le suggeriva la madre) appunto per ritrovare noi stessi.
” WORKSHOP “Diamo voce a noi stessi” È il titolo di un incontro cui partecipai, anni fa, come socia della Banca del Tempo – Molise – Il cerchio Blu. L’argomento – riconoscimento e identificazione delle proprie emozioni e sviluppo di una comunicazione più equilibrata – di grande attualità allora, oggi più che mai, lascia alquanto a desiderare. Questo dall’avvento e dalla diffusione dei Social. Tali comode, utili tecnologie, hanno innescato una sorta di “patologia” collettiva e progressiva del silenzio: comunicare in solitudine – quando naturalmente non è per necessità – può essere il preludio di una solitudine esistenziale. Senza voler dire nulla di nuovo, né voler essere un martello demolitore, è sotto gli occhi di tutti che comunicare oggi a voce con gli altri, ma spesso anche con noi stessi, nel proprio intimo, è davvero un po’ difficile. E non parliamo del piacere o dell’arte della conversazione, ma del più semplice ed essenziale canale della comunicazione verbale. Gli anziani, spossati dalla vita, rintronati dalla solitudine, nessuno li ascolta più e dimenticano tutto, dal nome del malcapitato – loro amato amico – a quello dei figli che non vedono proprio tutti i giorni, affidati come sono a ospizi e badanti e a volte – senza irriverenza – anche il proprio. Di nome. Gli altri, quelli ancora “sulla breccia” che lavorano hanno poca voglia e tempo per comunicare e interrogarsi, immersi come sono nei problemi della quotidianità. Qui è innegabile la comodità di Whatsapp. Ci vorrebbero degli esperti a suggerir loro a non badare sempre e solo a non far rovesciare il proprio ombrello, ma anche a danzare sotto la pioggia (ma questa dove l’ho letta? Da Frate Indovino?). Forse però in questi casi, quando la vita è proprio una tempesta, anche l’esperto avrebbe qualche perplessità. Più preoccupante è per i giovani che ormai parlano e ascoltano solo virtualmente: lo smartphone è la loro appendice, la loro forza, i loro occhi, la bocca e le gambe. E ora anche il pollice deformato. Blaterare però contro il progresso è da ottusi perché è innegabile l’utilità che ci consente, tant’è che ce ne stiamo servendo in quest’istante. È l’abuso che lo sta trasformando in un boomerang contro noi stessi e allora, se non siamo capaci a farlo da soli – ma fa sempre bene comunque – ben venga la persona giusta a rimuovere qualche tabù a darci un’occhiata “dentro”. In quel lontano giorno il nostro stimolatore di emozioni con una sorta di maieutica socratica fece scaturire da noi stessi, anche con un pizzico di umorismo, quella riflessione, quell’esame introspettivo che magari prima poteva esserci sfuggito. Ci ritrovammo a parlare tra noi e col relatore a cuore aperto; costui, un po’ psicologo, un po’ psicanalista e un po’ anche filosofo, catturò letteralmente la nostra attenzione invitandoci a intervenire con domande mirate qua e là…a scandagliarsi un po’ dentro. Con ritmo vivace e incalzante fece affiorare sogni nel cassetto ed emozioni sommerse. Da quelle piccole “trivellazioni” emersero, oltre che sensazioni un po’ liberatorie del proprio io, anche regole comportamentali per relazionarsi con gli altri e vivere poi, in definitiva, anche al meglio pure con sé stessi (che sono poi ai fini del nostro benessere più utili del petrolio). “Rompere il ghiaccio”, come suol dirsi, anche solo per un minuto, al posto del solito saluto, con un conoscente, ma anche con uno sconosciuto, in determinate situazioni, è impensabile. E invece non ci pensò su Romana quando al mercato incontrò appunto una sua conoscente visibilmente non interessata alle compere e le chiese se si stesse godendo una bella passeggiata. E l’altra di rimando: – Mia madre mi diceva: – Non hai voglia di uscire? (Romana si aspettava che continuasse: – Non uscire! Nessuno ti obbliga! A sorpresa invece aggiunse) – Mettiti il cappotto ed esci! Senza essere proprio logorroiche entrambe quel frammento di umanità, ma anche quella lezione di vita al volo le fece sorridere piacevolmente. A volte accade pure che una persona naturalmente portata ad approcci spontanei, trovi davanti a sé un “muro”: – Ma chi me lo ha fatto fare – si rimprovera poi un po’ delusa. Ci vorrebbe il “counselor” di quel giorno che, forse scherzando, l’avrebbe incoraggiata: – Peggio per lui, o per lei, che non sa quel che si è perso! Poi forse avrebbe aggiunto, questa volta senza scherzare, chiamando chissà anche Beckett in soccorso: – Non importa se ha sbagliato – Sbaglia ancora – Sbaglia meglio! E l’intrepida persona – tra la mamma e Beckett, indossa “il cappotto ed esce per una bella passeggiata”. Senza volerlo qua e là vede molte persone (“monadi” le viene in mente) alle prese, anche tra il traffico, con lo specchietto di vetro. Poi, siccome lei deve avere un corretto rapporto con internet ed è notoriamente una persona simpatica e arguta, ci ripensa: – Via, non è poi così grave! – A lungo andare però – non può fare a meno di meditare – la solitudine genera sempre terra bruciata e quando si avvertirà il desiderio di sentire l’odore dell’erba fresca intorno a sé qualcosa cambierà. Rosaria Alterio”