Riceviamo e pubblichiamo articolo di Giuseppe Vaccaro, ex sindaco di Guglionesi su questa tornata elettorale del 6 e 7 maggio.

Con l’approssimarsi della tornata elettorale amministrativa a Guglionesi si inasprisce il tono di un confronto politico che in questi anni è stato spesso caratterizzato da dispute personalistiche piuttosto che essere incentrato sui problemi della collettività. Tale refrain non è una costante riferita all’attuale quinquennio amministrativo, ma è datato ed è alimentato dal meccanismo elettorale dell’elezione diretta del Sindaco. Si assiste ad un copione ormai consunto, ad una sorta di commedia dell’arte il cui canovaccio prevede il solito gioco dei ruoli: se si è in minoranza si contesta una certa iniziativa, ma se capita di cambiare ruolo si diventa strenui difensori della stessa … e viceversa. In tutta questa caciara il cittadino, che dovrebbe essere al centro della disputa in quanto destinatario delle scelte, rimane ai margini quale spettatore inebetito di tale teatrino, preferendo allontanarsi da una siffatta politica gestita da pochi attori “interessati”.

Per non rimanere nell’astratto, citerei come emblematico il caso della discarica: riguardo a tale problematica ci si è scontrati sull’aspetto della gestione e su tanti altri, mutando opinione rispetto al ruolo assunto di maggioranza o minoranza, ma come risultato finale il cittadino non si è visto diminuire affatto la tassa relativa. L’escamotage utilizzato, di dubbia liceità, è stato quello di non monetizzare un cospicuo contributo camuffato in servizio direttamente reso dal gestore della discarica. Dello stesso tenore è la diatriba che in queste ore impazza sul Cosib o sulle travi pericolanti, icone di un terremoto avvertito ma successivamente amplificato nei danni procurati. Il vero dilemma che oggi dovremmo porci sul Cosib è cosa riceve la nostra comunità da più di un decennio a fronte della propria partecipazione all’ente consortile … nulla, se non qualche incarico nel CdA oppure in una società satellite. Ci saremmo aspettati il riconoscimento al nostro territorio della forte vocazione agricola, mediante la creazione di un vero distretto agroindustriale; invece assistiamo al lento ma inesorabile declino di due nostre realtà che nel settore hanno segnato profondamente nel passato la spinta all’investimento nella risorsa dell’agricoltura.

Circa il caso delle travi, occorre con onestà riconoscere che l’origine del problema va ricercato nell’aver ampliato a dismisura l’entità dei danni del terremoto nell’ottica di sperare in finanziamenti, altrimenti non ottenibili, per rivitalizzare il centro storico. Ma il governo regionale ha provveduto ad allargare a dismisura la zona del cratere sismico, disperdendo in tal modo i cospicui finanziamenti ricevuti nei primi anni in tanti rivoli. La conseguenza di tale intuizione è stata il tenerci le travi a dieci anni di distanza dall’evento, mentre per la ricostruzione occorre attendere tempi biblici dal momento che è terminato lo stato di criticità e occorre varare una normativa regionale per procedere nei lavori. Nel frattempo il centro storico muore anche perché si è voluto costruire molto in periferia, mentre già venticinque anni fa alcuni amministratori avevano intuito il problema cercando di ridurre le volumetrie degli insediamenti periferici, pur in presenza di un consistente aumento demografico. Quella ipotesi di Piano regolatore venne abbandonata a favore di un nuovo Piano di cui non si conosce ancora l’esito, lasciando del tutto inalterate le surreali previsioni di un vecchio Regolamento Edilizio, con annesso Programma di Fabbricazione, che prevedeva una popolazione di più di diecimila abitanti.

Anche in questo caso le conseguenze sono state nefaste: oggi c’è molto di invenduto nelle zone periferiche, circostanza che ha provocato gravi sofferenze al comparto edile. In una situazione locale, oltre che nazionale, caratterizzata da una grave crisi economica, sociale, culturale e morale, bisogna ripensare il modo di vivere e di amministrare la comunità onde rinvigorire le relazioni sociali, economiche e politiche. Occorre che il confronto politico si incanali sui binari della correttezza, della mitezza e della serenità, sul rispetto degli avversari pur conservando il giusto rigore sulle scelte da compiere. Bisogna favorire la partecipazione dei cittadini alla vita e alle decisioni della nostra comunità, perché in tal modo si può insieme riscrivere un’agenda su cui nutrire speranza per il futuro. Bisogna essere innamorati della propria terra, profondamente appassionati delle proprie radici. Se si vuole governare un territorio gli si deve voler bene, altrimenti si rischia di rimanere un oscuro amministratore della quotidianità. Ma per amare occorre dare il tutto e il meglio di se stessi, in modo gratuito e senza alcuna pretesa di ricevere necessariamente alcun beneficio quale contropartita: in tal modo la politica tornerebbe ad essere la forma più alta di carità e servizio.

Quale contributo personale mi sforzerò in questo periodo a costruire un “movimento civico”, quale laboratorio di idee in grado di affrontare e risolvere dal basso le problematiche della comunità. Ciò quale proposta di discontinuità dopo anni di ricette miracolistiche sul modello del “ghe pensi mi” e di inefficaci soluzioni a una crisi sociale ed economica di cui non si intravede all’orizzonte una qualche via di uscita. E’ una proposta concreta che faccio a quegli uomini liberi e forti in grado di offrire il proprio apporto disinteressato per raggiungere il medesimo obiettivo: prendersi cura di questa comunità.

Articolo precedenteSgominata banda furti notturni, tre arresti a Trivento
Articolo successivoIorio spettatore, Di Giacomo cambia su Patriciello e il governo punta sulla Cattolica:la sanità diventa cosa privata