È stato emozionante scorgere il nome di Josè Tedeschi sulle pareti di una scuola dell’infanzia di Buenos Aires.

Il barrios di Villa Itatì vede ammassati come mosche, in ripari di fortuna e senza alcun servizio funzionante, migliaia di bambini, donne e migranti in cerca di opportunità, provenienti da varie parti del Sudamerica. Sono poco meno di 40 mila, in gran parte del Paraguay, che hanno bisogno di essere visti da una società cieca, insensibile e distratta.
Giuseppe Tedeschi li aveva visti e si era messo a loro disposizione per istruirli, curarli, aiutarli e dargli una prospettiva di uomini liberi.

Gli oppressori dell’umanità lo ammazzarono nel 1976 perché non tolleravano la sua azione solidale, ma i suoi collaboratori e tanti volontari, al di là e al di qua dell’oceano Atlantico, ne hanno proseguito l’opera, continuando a compiere gesti semplici, ma concreti, come quello degli emigranti jelsesi di Montreal o degli amici del “Cammina, Molise!” guidati dal fratello di un altro generoso missionario molisano in Bangladesh.

Il sorriso dei bambini del barrios illuminava il volto delle mamme e faceva brillare gli occhi di Coco Romanin, il fratello del Vescovo Juan Carlos, che non ha mai abbandonato i poveri di Villa Itatì. Luigi, un campobassano che ha studiato con Giuseppe Tedeschi e Sergio, un italoargentino che aveva collaborato con lui, ci hanno accolto con commozione e ci hanno guidato tra le baracche di lamiera in un dedalo di umanità umiliata, fino alla chiesa costruita da José in cui una suora senegalese aiuta donne e fanciulli.

Sapere che il Molise che non esiste, sia riuscito a penetrare quella periferia facendosi amare dagli ultimi e dai più poveri tra i poveri, ha riempito il cuore di gioia a tutti noi.

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