di Christian Ciarlante

Continua ad aumentare la povertà in Molise, ma le urla non le avverte più nessuno. Siamo tutti sordi, ciechi e muti al pari delle più illustri tre scimmiette. Il dato diffuso ieri dalla Caritas è molto preoccupante ed impone una riflessione seria, perché far finta che il problema non esiste o girarsi dall’altra parte, non fa onore a nessuno.

I poveri, o come amano definirli le menti più sensibili “impoveriti”, sono figli della precarietà, della mancanza di lavoro, di una società che chiede sempre di più, ma in cambio da’ sempre meno. Continua a crescere il numero dei molisani che cadono in disgrazia, basta poco per andare in miseria. Uomini e donne si confondono con gli stranieri che, ogni giorno, chiedono alla Caritas un pasto caldo, beni di prima necessità e istanze di aiuto. La vita quotidiana è diventata economicamente insostenibile; crescono le spese per acqua, luce e riscaldamento.

Aumentano indiscriminatamente i costi per trasporti, scuola, sanità, prodotti alimentari e vestiario. Senza un reddito stabile, che possa garantire un minimo di sicurezza, c’è il rischio di non poter affrontare la vita giorno per giorno. Il fallimento dell’Ittierre, la chiusura della Gam, la fine indegna dello Zuccherificio del Molise e la zona industriale di Pozzilli che arranca sotto i colpi di una crisi che non intende mollare, hanno tagliato le gambe ad un sistema economico che, nel bene o nel male, aveva trovato la strada per andare avanti e dare sostentamento a tante famiglie molisane.

Senza contare che altri lavoratori, a causa della crisi, sono rimasti con un pugno di mosche in mano. Se non ci fossero gli ammortizzatori sociali, questa regione diventerebbe una grande ‘favelas’. Gli ultimi imprenditori che resistono sul nostro territorio sono eroi; sono eroi i giovani che decidono di investire ancora in questa terra perché ci credono! Ma anche gli eroi vanno sostenuti, non vanno lasciati soli, non devono essere vessati dalle tasse esorbitanti e tanto meno da una burocrazia che esaspera. Senza quest’ultimi che danno ancora lavoro, sicuramente i dati sulla povertà sarebbero ben peggiori.

Basta un licenziamento in famiglia o una malattia importante per creare seri problemi al fragile equilibrio che ognuno di noi si è costruito con enormi sacrifici. Oggi, i più importanti ammortizzatori sociali per i giovani sono nonni e genitori. Grazie alle loro pensioni e al reddito di papà e mamma, si tira avanti tra mille difficoltà. Per quanto tempo ancora si potrà andare avanti in questo modo? Senza un decisivo cambio di passo, i numeri della povertà non potranno che aumentare a dismisura. Chi non ha una un paracadute familiare, non resiste!

Anche il fenomeno delle separazioni contribuisce all’aumento della povertà. Venendo meno una delle colonne portanti della famiglia, con tutte le problematiche che ne conseguono, ecco che viene giù tutto. Stesso discorso lo si può fare per due anziani che vivono di pensione; se uno dei due viene a mancare, la povertà è in agguato. Sempre più spesso, le mense della Caritas offrono cibo a persone sole.

Il Sud, purtroppo, è più penalizzato del Nord per una serie di fattori che non è il caso di elencare perché, teoricamente, dovrebbero essere noti a tutti. In molti, forse troppi casi, le strutture pubbliche sono l’unica via di salvezza per chi vive nel Mezzogiorno.

Sono saltati i sentimenti di solidarietà, di bene comune e di tolleranza. Non c’è prospettiva di una società più giusta, più equa e più solidale. Se l’unica speranza per andare avanti è il solo reddito di cittadinanza, stiamo messi peggio di quel che si potesse pensare. Gli ultimi dati sul PIL regionale sono a dir poco impietosi; siamo l’unica regione del Sud con dato negativo.

Il consenso alle promesse è ancora ampio, anche se nessuno dice come e quando ciò che è stato promesso, verrà realizzato. Una politica seria esigerebbe di dichiarare a chi togliere e a chi dare: non è possibile dichiararlo, perché nessuno è disposto a cedere qualcosa. Se continuiamo con il gioco delle tre scimmiette, per questa regione si prevedono tempi cupi sine die.

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